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giovedì 7 febbraio 2013

“Il perché dell’abbandono sportivo”

Il Prof. Maurizio Mondoni
“L’attività sportiva in età adolescenziale, soprattutto se praticata a livello agonistico, s’innesta su un terreno ricco di capovolgimenti interpersonali e problematiche esistenziali, andando a influire su dinamismi intrapsichici e agendo sulle capacità di controllo dell’Io e sulle dinamiche inconsce che in questo periodo subiscono massicci riaggiustamenti” (F. Zimbardi)

Premessa


Per cercare di avere una visione globale del fenomeno dell’abbandono, dobbiamo chiederci quali sono i principali motivi e le dinamiche psicologiche che convincono un bambino a iniziare una qualsiasi attività sportiva.
In Italia purtroppo non sono sempre i bambini a scegliere l’attività motoria e sportiva da praticare, ma spesso sono i genitori e questo è un grave errore e potrebbe essere una delle cause dell’abbandono sportivo in età precoce.
La molla iniziale che fa decidere di intraprendere questa nuova avventura, è formata da diversi fattori motivazionali:

- il provare piacere nella pratica motoria;
- il giocare e far parte di una squadra;
- l’indossare una maglia (divisa della squadra);
- il relazionarsi con gli altri (amicizia con i coetanei);
- il divertimento fine a se stesso;
- sentirsi bene fisicamente.

Perchè esiste il fenomeno dell’abbandono?

Ogni anno migliaia di giovani abbandonano l’attività sportiva, ma raramente ciò accade perché è nata in loro una nuova passione a cui vogliono dedicarsi.
I giovani abbandonano lo sport perché non trovano soddisfatti i bisogni che li avevano inizialmente spinti a intraprendere questa attività.
Non si pratica più uno sport (drop-out) quando le motivazioni iniziali non sono, in parte o del tutto, soddisfatte.

Il drop-out

Drop-out, leteralmente significa “cadere fuori”, “ritirarsi”. Da studi e ricerche effettuate si evince che circa il 20% dei maschi e il 40% delle femmine interrompe prematuramente la pratica sportiva agonistica.
La fascia d’età più a rischio è tra i 15 e i 17 anni per i ragazzi, mentre per le ragazze questa tendenza si manifesta leggermente prima.
Per certi aspetti il drop-out può essere considerato “fisiologico”, essendo inevitabile un mutamento di interessi e priorità nella vita dei giovani.

Perché si abbandona lo sport?


Quali sono le carenze o le azioni negative che accelerano l’abbandono o comunque nulla fanno per contenerlo?
Per il giovane i motivi basilari di questa scelta sembrano essere:

- la carenza di momenti di gioco e di divertimento;
- poco tempo libero a causa degli allenamenti;
- altri interessi;
- diminuzione dell’autostima;
- una spropositata esasperazione della competizione sportiva (ansia pre-agonistica, mancanza di successi, noia e monotonia dell’allenamento, rapporto genitori-allenatori, difficoltà di coesione con il gruppo, rapporto allenatore-atleta, infortuni);
- il raggiungimento della vittoria ad ogni costo.

Chiedere la vittoria ad ogni costo

Chiedere o pretendere da un bambino, fin dalla sua prima esperienza sportiva, la vittoria ad ogni costo, promettendo ricompense, può influenzare negativamente il processo di sviluppo delle sue motivazioni a continuare a praticare lo sport.
Se a questo si aggiunge un inadeguato supporto emotivo nei momenti delicati degli insuccessi e delle sconfitte, si creano le premesse per cui il bambino giocherà non tanto per se stesso, ma per le richieste, per lui a volte incomprensibili, del nostro mondo fatto a misura di adulto.
Bisognerebbe ricordarsi che la nostra idea di adulti e il nostro modo di concepire il divertimento, non sempre è uguale a quello del bambino.
Se per noi l’importante è vincere, senza nessuna via di mediazione, per il bambino inizialmente può essere più interessante l’aspetto ludico-motorio dell’attività sportiva, il correre e il giocare con altri bambini; gradualmente, nel periodo puberale, sarà poi lui ad impegnarsi maggiormente nella competizione, affermando la sua voglia di crescere e di affermarsi.
Le cause specifiche comuni a molti casi di abbandono sportivo, sono:

- lo studio, inteso come un impegno che richiede sempre maggior tempo;
- il non sempre facile rapporto con l’allenatore, a volte poco attento alla relazione interpersonale e spesso troppo esigente;
- le difficoltà legate alla socializzazione e alla competizione con i compagni e spesso viene a mancare “il gusto” di stare in compagnia e di divertirsi;
- la troppa fatica fisica che si deve sopportare durante gli allenamenti;
- l’ansia da competizione che è generata dalle eccessive richieste ambientali (non bisogna attribuire troppa importanza al risultato da parte dei genitori, allenatori, dirigenti; bisogna scegliere competizioni sportive adeguate (non frustranti); occorre prestare attenzione all’impegno e ai miglioramenti che di volta in volta si ottengono e non fare paragoni con gli altri;
- gli scarsi risultati ottenuti nella disciplina praticata;
- l’inizio troppo precoce dell’attività agonistica;
- le strutture sportive troppo lontane e talvolta fatiscenti;
- i costi troppo alti;
- i genitori troppo “pressanti”.

In questi casi, quando manca quest’aggancio, scompaiono le motivazioni per la pratica sportiva. Queste motivazioni non sono comunque caratteristiche stabili o leggi assolute applicabili in ogni contesto sportivo, ma anzi si modificano nel delicato periodo dell’adolescenza, subendo un’influenza sociale, famigliare, personale.

La motivazione

Per i giovani dai 5 agli 11 anni è molto importante il sostegno dell’Istruttore-Educatore, dei genitori, degli amici (dimensione affiliativa), il giocare con i compagni ed incontrarne di nuovi.
Man mano che i bambini crescono e passano dall’infanzia alla prima adolescenza, emergono altre motivazioni, quali l’acquisizione di competenza sportiva, il desiderio di gareggiare e di confrontarsi con gli altri (agonismo da non confondersi con antagonismo).
Il giovane deve avere fiducia in se stesso e in quello che è in grado di fare. Nella formazione dell’autostima i fattori ambientali ed educativi sono essenziali e in particolare i giudizi espressi dalle persone significative (Genitori, Insegnanti, Educatori, Istruttori, Allenatori).
L’acquisizione di fiducia in se stessi è la vera chiave della motivazione. Solo chi ha forti motivazioni vince gli ostacoli e le difficoltà e continua ad allenarsi e a gareggiare: è importante mantenere alta la motivazione.
La motivazione è l’agente fisiologico emotivo e cognitivo che organizza il comportamento individuale verso uno scopo e costituisce la chiave di accesso ai risultati e può essere associato al termine “bisogno” (motivo-azione).
La motivazione ha due fonti:

- nasce dall’interno della persona (intrinseca);
- scaturisce dall’esterno della persona (estrinseca) e deriva da altre persone (allenatore, squadra, famiglia) attraverso il rinforzo (positivo/negativo) e ricompense. Il comportamento è mosso maggiormente dal bisogno di raggiungere un’approvazione esterna piuttosto che verso la soddisfazione di un bisogno individuale.

Scritto da Maurizio Mondoni

Fonte: dailybasket

martedì 22 gennaio 2013

Lezioni di minibasket : A cura del prof. Mondoni


L’ALLEDUCATORE: ALLENARE ED EDUCARE NELLA PALLACANESTRO



L’arte di insegnare

Nel mondo sportivo attuale, a livello giovanile, ruotano molte figure e personalità con ruoli diversi, che dovrebbero concorrere al benessere psico-fisico del giovane atleta: una di queste è l’allenatore.

E’ assodato che la definizione di allenatore tecnico è ormai obsoleta e scontata; vi è infatti la necessità di arricchirla di connotazioni e di significati profondi in virtù dell’idea che lo sport deve far parte di un contesto di vita per i giovani.
Coniugare nel mondo sportivo attuale due verbi come allenare ed educare non è stato facile, ma il termine che ne è scaturito è perfetto: Alleducatore.

Educare allenando


Educare–allenando significa non cadere nello schematismo e nel nozionismo; occorre rivalutare il rapporto educatore-educando, occorre conoscere differenti metodi di comunicazione, non si può far apprendere senza sapere cosa si apprende: mai il tecnicismo deve superare la persona!

Allenare è difficile, educare-allenando è ancora più difficile.

Educare allenando, richiede una maturità tale che non si può acquisire in breve tempo, né leggendo un libro o partecipando a un corso di formazione per Istruttori o per Allenatori e neppure assistendo ad allenamenti svolti da altri Istruttori e Allenatori.
Questa maturità si raggiunge attraverso l’esperienza, la tenacia, gli errori, l’autocritica, il confronto con gli altri, l’umiltà, il sapersi arricchire continuamente imparando dagli altri e ascoltandoli.

Istruire è molto importante, allenare è significativo, educare è fondamentale.

Lo sport moderno è orientato verso colui che assiste piuttosto che verso colui che vi prende parte.
E’ importante proporre una cultura autentica, dove educazione-istruzione e allenamento sono in stretta simbiosi, è importante conoscere a fondo ciò che si vuole insegnare, per trasmettere e promuovere la didattica che diventa cultura attraverso le proposte operative.
Anche se si conosce tutto della disciplina sportiva che si insegna e non si conoscono le persone (sotto tutti gli aspetti) a cui si insegna e non si conoscono i diversi metodi di insegnamento adatti alle diverse età, non si può pensare assolutamente di essere dei buoni Alleducatori.

Un buon Alleducatore per educare, insegnare, istruire, allenare, deve:

- essere dinamico, aperto, stimarsi di più (autostima);
- prendere posizione contro il cognitivismo e l’iperistruzione ed esaltare, invece, l’educazione piena della persona.
- conoscere le motivazioni e i diversi metodi di apprendimento dei bambini e dei giovani;
- programmare gli interventi e conoscere come si educano e sviluppano le capacità e le abilità motorie, la tecnica e i fondamentali della disciplina che insegna;
- pensare che i bambini e i giovani non sono dei contenitori da riempire con esercizi, schemi e tattiche, ma sono persone che hanno diritto di decidere, di sbagliare, di provare a vincere e a perdere; promuovere la loro creatività e fantasia motoria, aiutarli a scoprirsi, costringerli al pensiero, proporre loro “situazioni-problema da risolvere” e non fornire loro subito soluzioni predeterminate da ricordare;
- motivare, gratificare, non trasmettere ansia e stress, tenere alto il livello di attenzione durante la lezioni e gli allenamenti;
- essere autorevole, credibile, innovativo, paziente, simpatico, leader;
- conoscere il proprio ruolo all’interno del gruppo o della squadra e credere nella bontà del proprio lavoro;
- mettere la propria sapienza al servizio degli altri per “farli crescere”;
- essere in grado di dimostrare, spiegare, correggere al momento giusto;
- essere un modello tra i tanti modelli che il bambino, il ragazzo, il fanciullo, l’adolescente incontra durante l’età evolutiva e dai quali deve cercare di “prendere” quello che gli serve per formare il proprio carattere e la propria personalità.
- conoscere rapidamente il gruppo a disposizione, essere in grado di “leggerlo” e gestirlo;
- essere un buon comunicatore, farsi accettare, accettare gli altri pur rimanendo se stesso in ogni occasione;
- educare l’agonismo, inteso come voglia di confrontarsi e da non confondersi con antagonismo (vincere a tutti i costi); l’agonismo deve essere vissuto come esperienza di crescita individuale e di consapevolezza;
- capire che istruire e allenare non significa solo insegnare le tecniche esecutive di un gesto o di una disciplina o affinarle, ma anche vivere assieme, stabilire dei legami affettivi e delle relazioni profonde che vanno al di là del puro gesto tecnico;
- insegnare attraverso ladidattica e non attraverso il didatticismo; la didattica di insegnamento deve essere una provocazione al pensare, occorre passare dal semplice al difficile, dal conosciuto allo sconosciuto; il didatticismo è una ricetta che non costringe a pensare, la didattica, invece, è animata dalla riflessione, dal pensiero, dalla meditazione e dalla verifica.;
- trasmettere cultura (e non solo sportiva) ai propri atleti. La cultura è la sintesi armonica delle conoscenze di una persona, abbinate alla sua sensibilità e alle sue esperienze.
La cultura motoria esportiva è la sintesi armonica delle conoscenze di una persona, abbinate alla sua sensibilità e alle sue esperienze motorie e sportive. L’etica è il vivere e l’applicare tutto ciò in modo corretto. Le Agenzie che devono trasmettere cultura ed etica sono la famiglia, la scuola e la società sportiva.


Se un Alleducatore funziona, i giovani avranno un grande rispetto per lui, si sentiranno a loro agio, apprenderanno bene, lo ammireranno e daranno il meglio di loro stessi.
Il gioco, il gioco-sport e lo sport sono diritti primari per i bambini, per i ragazzi e per i fanciulli.
Oggi l’insegnamento del gioco e dello sport ha bisogno di Educatori veri che aiutino a produrre “senza forzare la mano” e fin dove è possibile, non solo bravi giocatori o campioni, ma anche in futuro cittadini generosi, pazienti, audaci, forti, flessibili, intelligenti, creativi, disciplinati e ribelli contemporaneamente, attenti, coraggiosi e con una corretta cultura motoria e sportiva!.


Prof. Maurizio Mondoni

Fonte: dailybasket

mercoledì 16 gennaio 2013

Da settembre 2013 il via ai licei sportivi in Italia

Grande vittoria? Nemmeno per sogno, è la vittoria di Pirro


Il Decreto

Il Liceo Sportivo è una realtà. Dopo un parto lungo quasi tre anni, il Consiglio dei Ministri ha approvato il Decreto che istituisce “il Liceo Scientifico a indirizzo sportivo”.
I Licei Sportivi saranno una branca del Liceo Scientifico tradizionale, le iscrizioni partiranno dal 21 gennaio 2013 e l’inizio avverrà con l’anno scolastico 2013-2014.
L’obiettivo principale del provvedimento, spiega il comunicato ufficiale di Palazzo Chigi, è di portare a sistema esperienze didattiche già condotte in molte scuole, avvalendosi dell’autonomia e di implementare allo stesso tempo il ventaglio dell’offerta formativa, rafforzando il ruolo dello sport nella scuola. Per la prima volta nel nostro ordinamento, sottolinea Palazzo Chigi si inserisce un nuovo indirizzo di studi nell’ambito del Liceo Scientifico.
Questa è la continuazione della proposta del Governo Berlusconi e dell’allora Ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini e di Manuela Di Centa, per uniformarsi alle Direttive Europee. Questa proposta era stata approvata nel settembre del 2011 e rilanciata dal Ministro Francesco Profumo.
Bisognava adeguarsi alle direttive europee e lo abbiamo fatto, ma non benissimo, all’italiana, come tutte le cose, l’importante è far vedere che si fa.
In Italia esistono da tempo molti Licei sperimentali ad indirizzo sportivo, con programmi “raffazzonati” con un po’ di attività sportiva, con qualche materia scientifica e tecnica sportiva in aggiunta ai programmi tradizionali dei Licei. Con quali obiettivi? Non si sa, ma l’importante è vendere la dicitura “Istituto a indirizzo sportivo”: fumo negli occhi!

Le nuove materie
Nel Decreto si parla di un Liceo a tutti gli effetti, il cui indirizzo sportivo è indicato da due nuove materie:
-          diritto ed economia dello sport;
-          discipline Sportive.
Queste due nuove materie sostituiranno disegno e storia dell’arte e lingua e cultura latina. E così abbiamo risolto il problema? Nemmeno per sogno. Chi insegnerà queste materie? Il Docente deve essere altamente specializzato e competente.
Il Decreto prosegue ancora”….. al conseguimento del Diploma lo studente avrà anche acquisito i principi fondamentali di igiene degli sport (benessere, sicurezza, prevenzione, alimentazione, droga (sic!) e alcool), di fisiologia, dell’esercizio fisico e sportivo e della prevenzione dei danni derivanti dalla pratica agonistica nei diversi ambienti di competizione, del rispetto delle regole e del fair-play.
Chi insegnerà Fisiologia dello Sport? Alimentazione? Igiene? Chi parlerà di Doping? Anche qui l’Insegnante deve essere preparato e competente.
Nel decreto è previsto inoltre (ci mancherebbe altro!) un potenziamento delle “Scienze Motorie e Sportive”, ma se non sbaglio nelle Nuove Indicazioni Nazionali del MIUR si parla nuovamente di Educazione Fisica (termine più appropriato).
Aumenterà il numero delle ore di Educazione Fisica da 2 a 3 ore settimanali (numero sempre troppo basso, in Europa siamo uno degli ultimi Paesi in fatto di monte ore relativo all’Educazione Fisica nelle Scuole Medie e Superiori).
Che tipo di Educazione Fisica e Sportiva sarà? Quella tradizionale oppure innovativa?

Il piano di studi

Per arrivare al traguardo, gli studenti dei Licei Sportivi dovranno passare sui banchi (e in palestra) complessivamente 891 ore all’anno nel biennio (una media di 27 ore settimanali) e 990 ore nel triennio (circa 30 ore alla settimana). Il latino sarà sostituito dal potenziamento delle Scienze Motorie e dalle Discipline Sportive e dal terzo anno in poi disegno dell’arte e storia saranno sostituite da Diritto e Economia dello Sport. Al termine del quinto anno gli studenti riceveranno il Diploma di Liceo Scientifico con l’indicazione di “sezione a indirizzo sportivo”, che consentirà l’accesso all’Università e agli Istituti di alta formazione artistica, musicale e coreutica (e Motoria e Sportiva no?!)


Parliamo di Licei Sportivi, siamo a metà gennaio 2013 e se non sbaglio non è uscita ancora la circolare relativa ai Giochi della Gioventù e ai Campionati Studenteschi!

Nella scuola italiana lo sport è valutato poco e spesso chi pratica attività sportiva non gode della stessa considerazione di coloro che si dedicano a “passatempi” più culturali (vedi studio, arte e pianoforte per esempio), poche sono le ore di attività sportiva scolastiche, i Giochi della Gioventù sono inadeguati (percorsi, esercizi, piccole gare), i Giochi Sportivi Studenteschi sono il doppione delle gare federali. Troppo poco per favorire l’espandersi di una corretta cultura motoria e sportiva tra i giovani.

Gli impianti e le strutture sportive

Nel Decreto si parla di impianti e strutture adeguate. Quanti sono in Italia gli Istituti che dispongono di impianti e strutture adeguate per la pratica motoria e sportiva? Decisamente pochi e con strutture spesso non adeguate. Abbiamo palestre fatiscenti, poco attrezzate, impianti all’aperto in disuso e rovinati, per non parlare delle piscine!
Il Decreto aggiunge ancora”………avvalendosi, se necessario di convenzioni con Centri Sportivi specializzati (sic!) e ancora “è prevista la partecipazione del CONI con personale Tecnico e Insegnanti.
Dobbiamo rivolgerci a Centri Sportivi privati, pagando l’utilizzo degli impianti? Quale sarà il criterio di scelta dei Tecnici e degli Insegnanti?
Il Decreto prosegue con “………………..la sezione non è finalizzata solo alla formazione di giovani che praticano lo sport e sono impegnati in competizioni di rilievo nazionale o internazionale, ma si rivolge a tutti gli studenti interessati ai valori propri della cultura sportiva”. Belle parole, ma dicono poco, perché la cultura sportiva è da reinventare.

L’iscrizione

L’iscrizione è aperta a tutti, anche ai disabili, non sono previste prove selettive d’ingresso: ci mancherebbe altro! Secondo me non dovrebbero essere rivolti solo a persone già inserite nel mondo dello sport, ma bensì aperti a tutti coloro che hanno la volontà di avvicinarsi sia alla pratica motoria e sportiva che a quella tecnica, dirigenziale e manageriale, questo infatti supporta il concetto di cultura sportiva.

Il Regolamento dei Licei

Da anni si sta cercando di destrutturare il sapere e in questo caso il sapere motorio e sportivo.
Prima di parlare di Licei Sportivi, il primo passo importante sarebbe stato quello di rendere obbligatoria l’Educazione Motoria e l’avviamento al gioco-sport già dalla Scuola Primaria e creare sin dall’inizio una buona base di cultura motoria e sportiva. L’insegnamento dovrebbe essere affidato a un Insegnante diplomato all’ISEF o a un Laureato in Scienze Motorie e Sportive!
In effetti un laureato in matematica non può insegnare lettere e allora perché tutti si ritengono in grado di insegnare Educazione Motoria senza averne i titoli?
Nel Decreto si afferma che l’introduzione del Liceo Sportivo è immediata, ma graduale. Per il prossimo anno andranno a regime circa 100 Istituti Scientifici (non più di uno in ogni provincia: ma le Provincie non devono essere cancellate?). Alcune Regioni e Provincie (Liguria, Roma, Belluno, Grosseto si sono già adeguate e hanno già iniziato il percorso in via sperimentale, per le altre, in accordo con gli Uffici regionali e provinciali scolastici, si slitterà probabilmente all’anno scolastico successivo cioè al 2014-2015.

Le esperienze europee non sono state prese assolutamente in considerazione.

Per esempio in Spagna esiste da tempo una esperienza consolidata dell’insegnamento sportivo a livello secondario. E’ stata scelta una formula a due livelli (Tecnico Sportivo di base e Tecnico Sportivo Superiore), che soddisfa entrambe le esigenze, grazie a un sistema di validazione dei risultati sportivi di vertice e provvede alla formazione dei quadri tecnici delle Federazioni Sportive Nazionali degli sport più diffusi in ambito scolastico.
In Spagna il regolamento di tali scuole è redatto da una Commissione competente in ambito motorio, sportivo (psicologi, sociologi, tecnici, educatori, etc.) e la frase finale di tale regolamento è molto significativa “……liceo orientato a formare un cittadino che sappia unire la cultura umanistica a quella scientifica, con particolare riferimento allo sport, inteso come fenomeno interculturale, trasversale e altamente significativo della società moderna”.

Il CONI e il Sistema Nazionale di qualificazione dei Tecnici Sportivi

Il CONI nazionale ha adottato lo SNaQ in attuazione dei quadri nazionali delle qualifiche tecniche , collegati al Quadro europeo delle qualifiche dei tecnici (EDF) e costituisce uno strumento strategico di sostegno al perseguimento degli obiettivi europei, ripresi dall’ET 2020. L’adozione dello SNaQ consente la tracciabilità (attraverso meccanismi di valutazione, validazione e certificazione) della formazione erogata, anche al fine di consentire, nello spirito dell’Unione Europea, la libera circolazione degli Operatori Sportivi fra i diversi Paesi europei, attraverso un sistema di mutuo riconoscimento, rappresentato dall’EQF.
Questo strumento dovrebbe accordarsi con l’istruzione e la formazionale nazionale, qualificando l’istruzione sportiva italiana come sistema liceale speciale. I Licei Sportivi fornirebbero la formazione dell’area comune anche per le qualifiche sportive, che dovrebbe essere completata con le aree tecniche specialistiche sportive a cura delle Federazioni Sportive Nazionali del CONI per i primi livelli (aiuto allenatore, allenatore, capo allenatore), mentre per il quarto livello per il grado di allenatore a livello europeo è necessario un accordo tra il CONI e lo IUSM (Istituto Universitario Scienze Sportive).
Perché nel Regolamento non si è tenuto conto anche di quest’aspetto? Sarebbe stata una mossa importante.

Qual è l’identità del Liceo Scientifico Sportivo?

Non dovrebbe collocarsi nel quadro generale della riforma della Scuola Secondaria Superiore con un percorso curricolare ad ampia connotazione scientifica e tecnologica, in relazione ad una formazione culturale equilibrata fra le conoscenze fondamentali dell’area scientifica e umanistica quale “interazione tra le diverse forme del sapere”?

Conclusioni

Così come è strutturato, il Liceo Sportivo serve per preparare a superare le selezioni per l’accesso agli Istituti Universitari di Scienze Motorie e dello Sport?
Oppure è un Istituto che gli atleti di èlite possono frequentare, godendo di agevolazione nell’attività sportiva?
Per rendere il Liceo Scientifico Sportivo omogeneo e funzionale. occorre apportare dei correttivi sostanziali “in itinere”, altrimenti diventa un pastrocchio come il progetto “Alfabetizzazione Motoria” nella Scuola Primaria, che è sicuramente innovativo, ma decisamente poco perseguibile su tutto il territorio nazionale per mancanza di fondi e di personale qualificato.

Prof. Maurizio Mondoni

Fonte: Dailybasket

giovedì 27 dicembre 2012

L’angolo del minibasket – Le competenze dell’allenatore di pallacanestro a livello giovanile


Scritto da: Andrea Ferrari

Il compito di educare-allenando nel basket, richiede una maturità tale che non si può acquisire leggendo un libro o assistendo ad un allenamento.
L’allenatore psicologicamente maturo è quello che è capace di rispettare i propri giocatori, di farsi rispettare, di instaurare con loro un rapporto corretto e di “vivere” in perfetta sintonia con l’ambiente in cui lavora.
L’allenatore deve trasmettere ai propri giocatori la voglia di migliorare, di applicarsi, di lavorare duro, inoltre deve agire in funzione del materiale umano di cui dispone, degli allenamenti e degli orari a disposizione per allenare.


Un buon allenatore per gestire bene i propri giocatori a livello giovanile, deve:

  • possedere capacità, conoscenze e competenze;
  • conoscere le problematiche dell’età evolutiva;
  • possedere buon senso, autocontrollo, spirito di cooperazione;
  • controllare i gesti e il linguaggio durante gli allenamenti e le partite;
  • conoscere bene la pallacanestro e il regolamento tecnico;
  • programmare il proprio lavoro, organizzare gli allenamenti;
  • non pretendere dai propri giocatori una prestazione prima del tempo, in quanto vi sono ritmi e tempi di apprendimento dai quali non si può prescindere;
  • collaborare con l’assistente;
  • avere il desiderio di imparare continuamente e di aggiornarsi;
  • avere passione e fiducia in se stesso;
  • affascinare i propri giocatori e inculcare loro l’amore per il basket;
  • dire “facciamo” e non “fate”;
  • dimostrare correttamente, correggere bene e al momento giusto;
  • scegliere il metodo adatto di insegnamento e di allenamento e dosarlo in rapporto all’età dei giocatori e ai traguardi che si vogliono raggiungere insieme.
La palestra non deve essere solo il luogo dove ci si allena, ma uno spazio nel quale ognuno è sollecitato a mettere in atto le proprie capacità, dove si socializza, si lavora e ci si diverte.

L’allenatore competente deve essere:

  • preparato, simpatico, leale, imparziale, adattabile, intelligente, coerente;
  • equilibrato, paziente, sincero, colto, democratico, un modello per i propri giocatori;
  • tenace, pronto, ottimista, autorevole (non autoritario), giustamente ambizioso, motivato;
  • umile e pronto a ricevere critiche e complimenti;
  • in grado di “gestire” bene i feed-back e di costruire “un buon spogliatoio”;
  • puntuale e deve pretendere dai propri atleti la puntualità come una forma di educazione comportamentale.

“Se un allenatore dà veramente il massimo, avrà successo ugualmente e non conterà se ha vinto o ha perso” (J. Wooden)

L’allenatore di pallacanestro a livello giovanile deve essere un “Educatore”, dentro e fuori dal campo, deve stimare i propri giocatori e farsi stimare, deve essere un esempio costante.
Non deve essere un semplice addestratore, ma colui che stimola non comandando.
Un allenatore non avrà piena coscienza di tutto quanto enunciato precedentemente, se non  attraverso l’esperienza.

DECALOGO DI COMPORTAMENTO PER L’ALLENATORE

1)   Avere fantasia nel programmare gli allenamenti
2)  Entrare in palestra sereno
3)  Utilizzare un linguaggio comprensibile
4)  Trasmettere entusiasmo e sorridere ogni tanto
5)  Gratificare appena possibile
6)  Non punire sempre
7)  Cercare di eliminare i tempi morti durante l’allenamento
8)  Motivare continuamente
9)  Presentare esercizi con problemi da risolvere e non soluzioni da ricordare
10) Osservare i giocatori all’inizio, durante e dopo l’allenamento e parlare con loro più spesso e ascoltarli.

Prof. Maurizio Mondoni

Fonte: dailybasket

mercoledì 12 dicembre 2012

L’angolo del minibasket, a cura del Prof. Mondoni



 “Il fair-play e il buon esempio nella pallacanestro”

Seconda parte ( clicca qui per accedere alla prima parte ) del trattato “Il fair-play e il buon esempio nella pallacanestro”.

La cultura e l’etica sportiva

Molte persone pensano di possedere etica e cultura sportiva perché guardano lo sport alla televisione, vanno allo stadio, ogni tanto corrono o giocano al campetto, discutono di sport al bar, leggono la Gazzetta dello Sport: questa non è cultura.
La cultura sportiva è l’insieme delle esperienze e delle sensazioni maturate con il passare del tempo in ambito sportivo e l’etica è il saper vivere e applicare tutto ciò in modo corretto.

Il basket e lo sport sono una questione di buona educazione e di cultura, la cultura etica è la vera arma di cui dispone lo sport: un potenziale di valori, principi, emozioni, che se espressi possono migliorare la qualità della vita non solo di chi pratica attività sportiva, ma anche di chi la segue o la tifa.

Le Agenzie Educative che devono promuovere una corretta cultura sportiva e insegnare ai giovani una corretta etica di comportamento sono la Famiglia, la Scuola e le Società Sportive.
Ogni Famiglia deve essere il centro dei valori umani, la famiglia è la “casa” dei valori umani, perché è da lì che essi nascono, sbocciano, fioriscono e portano il giovane alle alte vette di questo tipo di cultura.
I Genitori devono essere sempre e in ogni occasione il “buon esempio” per i loro figli, in tutti gli ambiti. In tribuna devono comportarsi da persone intelligenti e corrette.
A Scuola, il “buon esempio” deve venire dagli Insegnanti. L’Insegnante deve far riscoprire i valori dello sport, deve essere un “modello” per i suoi allievi, un provocatore di “vocazioni sportive”, un ideale per loro.
Nelle Società Sportive, il “buon esempio” deve venire dagli Istruttori, Allenatori e dai Dirigenti. Gli Istruttori e gli Allenatori devono essere la guida dell’atleta e della squadra, devono incanalare tutte le risorse del singolo e del gruppo, sfruttandole al meglio, per cercare di ottenere i risultati migliori. I Dirigenti devono “dirigere”, devono fornire consigli, indicazioni corrette.
Tutte e tre queste Agenzie Educative dovrebbero ogni tanto andare a scuola di agonismo, di etica, di buon esempio e di “Fair-play” e dovrebbero convogliare i loro sforzi verso il soggetto e non essere divergenti.

L’agonismo è insito in ciascuno di noi, sin dalla nascita, basta educarlo e convogliarlo in giusti canali. L’agonismo è un elemento insopprimibile della pratica sportiva, basta non trasformarlo in antagonismo.
L’importante è confrontarsi e verificare quanto una persona vale e se ogni volta ci si migliora è come se si avesse vinto.
L’agonismo sportivo deve essere educato, non esasperato. Confronto e non scontro e con fair-play.


Quanto conta l’etica nella pallacanestro e nello sport?


L’etica è tutto. E’ formata da quattro D:

- dedizione
- disciplina
- determinazione
- dare qualcosa di più

Questa è la formula del successo, che vale in tutte le fasi della vita e non solo nello sport.
Etica significa rispetto delle regole e gli Educatori rivestono un ruolo importante nell’insegnamento delle diverse discipline sportive, e devono essere un esempio visibile per i giovani.
Il mondo dello sport ha bisogno di Educatori veri.


Conclusioni


Scivolano gli anni, mutano le generazioni, si sconvolgono gli Stati, i mezzi di comunicazione amplificano immagini di eventi negativi che negano il primato ai valori umani: eppure ogni anno, in tutti i Paesi, si avvicendano “buoni esempi” nello sport.
Cerchiamo di vivere bene e con serenità: solo in questo modo daremo un buon esempio ai giovani, che saranno i cittadini del domani e i custodi di questi valori!

Umano è vincere, umano è perdere, ma la sfida sta nel saper vivere con nobiltà e dignitàd’intenzione e di comportamento, l’uno e l’altro momento di vita: entrambi sono degni di memoria, solo se riferiti al cammino di crescita e di perfezione della persona”.


Prof. Maurizio Mondoni

Fonte: dailybasket

mercoledì 28 novembre 2012

L’angolo del minibasket, a cura del Prof. Mondoni



Scritto da Andrea Ferrari

“Il fair-play e il buon esempio nella pallacanestro”

Premessa
Non voglio più vedere genitori in tribuna che insultano gli arbitri e i giocatori avversari (esempi di razzismo a Como in un campionato giovanile femminile o a Pavia in un campionato regionale di C2 maschile), non voglio più vedere risultati di una partita di basket maschile under 13 che termina con il punteggio di 256 a 5, oppure assistere a partite nelle quali i genitori insultano i Miniarbitri (basket giovanile CSI).
E’ ora di finirla!
Il mondo dei giovani cambia velocemente e spesso, per noi adulti diventa difficile capire, adattarsi e agire di conseguenza.
Anche il basket e lo sport in genere sono coinvolti in questi cambiamenti del modo di essere e agire dei giovani: far finta di niente sarebbe un grave errore, ma l’errore più grave sarebbe pensare sempre ai “nostri tempi”.
Quest’affermazione invita tutti a riflettere e ad agire in un’ottica di sport vero, pulito, veicolo di valori, cultura e non solo di risultati e d’agonismo esasperato.

° Spirito e pratica del “fair play” sono forse reminiscenze di una mitica “età dell’oro” dello sport, vissuta, se mai esistita, da una classe di privilegiati anglosassoni?


° Spirito e pratica del fair play sono forse graffiti di una stagione travolta da un epocale mutamento dei valori nella società cosiddetta avanzata?

° Oppure spirito e pratica del fair-play sono atteggiamenti e gesti di lealtà, di rispetto e di onore per l’avversario, di osservanza delle regole scritte e non scritte della competizione?

° Oppure il “buon esempio nello sport” dobbiamo accreditarlo ad una sparuta specie di discepoli di un romanticismo sportivo, attardato ai margini dei clamori e degli spettacoli imperanti?

Lo sport assume un’importanza strategica nella formazione della persona e dei suoi valori, dal momento che il primo contatto con esso avviene in età infantile o adolescenziale.
Lo sport ha delle regole ed è fondamentale che siano etiche ed apprese nel modo migliore; in questo senso, l’educazione sportiva diventa uno strumento di educazione civica.

I 10 comandamenti dello sport

1) Rispettare se stessi
2) Rispettare le regole del gioco
3) Rispettare i compagni di gara
4) Rispettare l’allenatore
5) Rispettare gli avversari
6) Concorrere ad un’obiettivo comune
7) Formare uno spirito di squadra
8) Non accettare comportamenti scorretti
9) Non imbrogliare
10) Non fare e non farsi violenza

Moltissimi sono gli esempi che si verificano tutti i giorni nei campi di gioco, nelle palestre, nelle manifestazioni sportive.

Il buon esempio nella pallacanestro e nello sport esiste, basta farlo conoscere e tutti attraverso i mass media. Purtroppo i giornali e le televisioni ci propongono spesso altri esempi negativi (gli insulti e le parolacce del pubblico verso gli arbitri e i giocatori della squadra avversaria, i fischi verso i giocatori della squadra di casa se non gioca bene). I giovani guardano la televisione, leggono i giornali e gli esempi sopra citati li colpiscono e rimangono nella loro memoria mentre pensano “se il mio idolo si comporta in questo modo, lo posso fare anch’io”. Per evitare questo grave pericolo, ci vuole una forte campagna di educazione per determinare un superiore convincimento, verso gli addetti ai lavori (giocatori, dirigenti, allenatori, arbitri), che impedisca una crescente diffusione di queste poco corrette abitudini.

La F.I.P. e il Panathlon International si battono da anni per portare avanti questi concetti e ben vengano convegni, congressi, tavole rotonde e seminari che siano testimonianze efficaci per fare in modo che il “buon esempio” ritorni in famiglia, a scuola, nelle società sportive e nei campi sportivi. Ne abbiamo bisogno!
La cultura sportiva, il fair-play e il buon esempio non nascono da soli, devono essere educati e sviluppati da persone con buon senso, competenti ed equilibrate.
Confrontarsi con il successo o l’insuccesso, inevitabili nello sport così come nella vita comune, è difficile, ma può diventare più semplice se si impara a farlo da piccoli, attraverso il gioco e lo sport.
Lo sport deve insegnare a vincere e a perdere e perdere e migliorarsi è come aver vinto!
Riconoscere che l’altro è più forte, non significa abbassare il proprio livello di autostima.

Prof. Maurizio Mondoni

Fonte: dailybasket.

L’angolo del minibasket, a cura del Prof. Mondoni


Scritto da: Andrea Ferrari

Ultima parte del trattato “Le tre C nel minibasket” redatto dal Prof. Maurizio Mondoni. Dopo avere considerato le capacità nella prima parte e le competenze nella seconda, di seguito la considerazione della terza ed ultima “C”:


CONOSCENZE

Uno strumento che sviluppa le capacità e le competenze dell’uomo é senza dubbio l’incontro con le CONOSCENZE, concepite creativamente dalla nostra mente o ricavate direttamente dall’esperienza.
Incontro con le conoscenze già esistenti (Mondo 3 di Popper, Iper Uranio di Aristotele, Il Minibasket secondo Mondoni), quelle selezionate nei repertori e nelle enciclopedie della cultura antropologica e o di quella classica, nei Manuali o nei testi Minibasket, trasmesse grazie all’insegnamento di un maestro.
Le conoscenze, sia quelle nuove concepite dalla mente umana sia quelle già consolidate e insegnabili, si possono classificare in tre fondamentali categorie:


- conoscenze dichiarative: sapere che cosa si sta facendo
- conoscenze condizionali: sapere dove, quando, perché si fa
- conoscenze tecnico-procedurali: sapere come si fa


Le prime e le seconde sono quelle maturate grazie all’attività teoretica degli uomini e riguardano le cose che ci sono: che cosa sono, perché ci sono, come ci sono.
Dicono anche che cosa è bene fare e che cosa è bene non fare e perché.
Le ultime sono quelle fornite da tutte le possibili tecnologie esistenti (conoscenza delle tecnologie).
Molte persone fanno qualcosa: si muovono, aggiustano automobili, praticano discipline sportive, riparano vestiti, lavano e spesso non sanno perché lo fanno.
Lo stesso dicasi per l’Istruttore Minibasket che propone esercizi e giochi e non sa perché lo fa.
Chi fa queste cose senza sapere PERCHE’ è privo di scienza teorica, non ha conoscenza di ciò che fa, non è capace di dirne le cause, sebbene sia in possesso di coscienza.
Non tutte le conoscenze dichiarative, condizionali e procedurali esistenti o da noi possedute, sono anche CERTEZZE, possono rimanere CREDENZE.
L’essere di ciascuno di noi è il contenuto delle sue conoscenze. Ciascuno di noi, conosce quello che ha potuto conoscere.

Se una persona ha conoscenze, è capace di insegnarle.
Si possono insegnare e trasmettere solo conoscenze, l’esperienza di ciascuno da cui esse sono state tratte è intrasmissibile e non è insegnabile.
Per un Istruttore Minibasket è importante conoscere COME SI FA AD INSEGNARE determinate conoscenze ai bambini (piuttosto ai giovani o agli adulti), in un Centro Minibasket o a Scuola, in presenza di determinate condizioni piuttosto di altre.
L’insegnamento non richiede solo il possesso di conoscenze, ma esige anche quello di ABILITA’.
Questa consapevolezza, tuttavia, non pregiudica il fatto che si possa verificare con accuratezza se un bambino abbia tutte le conoscenze per giocare a Minibasket (test motori generali e specifici, conoscenza dei movimenti che può compiere con il proprio corpo nello spazio e nel tempo con o senza palla, padronanza degli schemi motori di base e delle capacità motorie, conoscenza delle regole e del regolamento di gioco).
Non basta conoscere, bisogna provare e verificare (prima di fare è importante capire), bisogna avere l’abilità per giocare (CAPACITA’ DI GIOCO).
Non è detto che se un bambino non riesce a realizzare canestro, non sappia giocare a Minibasket, non è detto che se non sa fare l’entrata in terzo tempo non possa giocare.

Per “capacità di gioco” intendiamo che un bambino deve conoscere:


- i movimenti che può eseguire con il suo corpo (da fermo e in movimento) con o senza palla;
- lo spazio;
- il tempo;
- le regole;
- il Regolamento;
- i compagni e gli avversari.


Non è detto che se un bambino sa palleggiare benissimo possa giocare a Minibasket, l’importante è essere ABILI a giocare (dimostrare praticamente ciò che si conosce e personalizzarlo).
Ognuno gioca come è capace di giocare!
Nel Minibasket si deve sempre verificare, attraverso il gioco, se un bambino possiede (e fino a che punto) conoscenze; evitiamo, quindi, di dare subito giudizi negativi sui bambini, relativamente alle loro capacità e competenze.
Se un bambino ha poche conoscenze (perché il suo Istruttore non ne possiede molte, oppure perché pensa di conoscerle), non si è autorizzati ad esprimere una valutazione negativa sul suo comportamento motorio e non.


ABILITA’

Il campo semantico del termine abilità è intimamente connesso con quello di tecnica.
Ciascun essere umano ha la capacità di rappresentarsi scopi concettualmente, che sappia trovare attraverso tecniche calcolative, percorsi operativi adatti a trasferire gli scopi concettuali nella realtà materiale, per creare prodotti che in natura non esistono e che sia in grado di ottimizzare l’intero processo, con le correzioni e i miglioramenti del caso.
Conoscere la causa prima di fare è molto importante.
Abile non è chi è capace di sapere, ma chi ha un determinato tipo di sapere, cioè un sapere specializzato.
Sapere come si fa una cosa non significa poi farla davvero come si deve, cioè essere buoni o eccellenti nel farla.
Sapere le regole e i principi morali, non vuol dire agire bene, da virtuosi, sapere i principi fisici che spiegano l’andare in bicicletta, non vuol dire essere bravi ciclisti, conoscere la meccanica del palleggio, non significa essere bravi palleggiatori.
Sapere alcuni concetti relativi al Minibasket, senza un corretto background culturale, non significa assolutamente essere abili ad insegnare o ad insegnare agli altri ad insegnare.
Si è abili, si è eccellenti, quando si traduce un sapere specifico di qualcosa, su azioni adeguate a realizzare al meglio lo scopo concepito.
E’ l’azione di successo ripetuta (l’esercizio) che segnala l’abilità di un soggetto.
Ha abilità, infatti, “chi fa ciò che vuole quando lo vuole”, lo sbocco finale di ogni abilità è l’abitudine.
Nessuna tecnica è affidabile se affidata a principianti o a persone incompetenti, chi insegna e non sa che cosa insegna e perché insegna, non è un insegnante, è un ciarlatano, un venditore di fumo e a lungo andare, anche se all’inizio tutto va bene, poi ci si accorge delle sue poche conoscenze e della sua incompetenza.
Nessuna tecnica può essere considerata acquisita una volta per sempre: l’abilità nello svolgerla ha bisogno sia di continua vigilanza intellettuale (di sapere e di sapersi) sia di esercizio.
E’ importante aggiornarsi continuamente, confrontarsi, evolversi, cambiare.
Essere abili ad insegnare Minibasket non significa conoscere 100 esercizi o 200 giochi, essere abili significa saper comunicare, suscitare attenzione, essere motivati, essere entusiasti, suscitare motivazione ad apprendere, conoscere ciò che si insegna, a chi si insegna e che metodi si devono utilizzare per far apprendere sempre meglio.

Nel concetto di ABILITA’ entrano, comunque, altre dimensioni:


- COMPETIZIONE: non esiste abilità dove non c’è “zèlos” (sguardo obliquo), cioè un guardare di traverso ciò che fa l’altro, uno spiarlo di sottecchi per vedere che cosa fa e come lo fa: non ci deve essere, però, invidia ostile per danneggiare. L’emulazione deve essere positiva, guardare senza essere visti, per vedere se fa meglio di noi, ingaggiare così una “lotta d’eccellenza”. Virtuoso è colui che
eccelle rispetto ad un altro nelle capacità di fare bene qualcosa.


- UTILITA’: è abile chi fa, produce, chi crea un qualcosa che dura e che è apprezzato da chi lo impiega, perché ne ha bisogno: gli è utile.


- COMPLETAMENTO: l’abilità non richiede solo “zèlos” e utilità, ma anche giusta disponibilità alla cooperazione. Produrre qualsiasi cosa senza coordinarsi con le azioni di altri soggetti, risulta impossibile; ciò non può realizzarsi nel disordine di chi non rispetta le parti assegnate e non attribuisce a ciascuno il suo compito.

Possedere un sapere specifico che ci consenta nello “zèlos” e in un onesta giustizia cooperativa, di produrre secondo una sequenza tecnica, qualcosa di determinato e che sia utilizzato ed apprezzato nel tempo, sembrano i tratti che segnalano il possesso di una abilità.


La verifica delle abilità

Un test, una prova oggettiva, servono senza dubbio per una verifica specifica di conoscenze, ma sono soprattutto prove di abilità.
La realizzazione di un capolavoro, la stesura di un progetto, una traduzione, un lavoro di ricerca, sono strumenti specifici per la verifica di abilità, ma sono anche prove di conoscenza.
Un articolo di giornale che non riesce a farsi leggere, è il segno che non si è abili nella scrittura giornalistica.
Non è il caso, dunque, di ricavare giudizi di personalità e di carattere, da prove di verifica di abilità: l’essere delle persone è molto più grande ed importante del loro avere!


Obiettivi di apprendimento

Il soggetto logico degli obiettivi di apprendimento è il bambino.
Anche se formulati dall’Istruttore, quest’ultimo agisce in nome e per conto del bambino.
Individua, infatti, le capacità di ciascun bambino e le traduce, con l’analisi logica e operativa, in risultati di apprendimento che il bambino stesso può e deve raggiungere, non solo per vivere meglio, ma anche per realizzare al meglio se stesso.
“Alla fine del Corso di Minibasket il bambino deve essere in grado di correre, di conoscere lo spazio, il tempo, le regole di gioco, la palla, i compagni, gli avversari, di palleggiare, tirare, passare, ricevere, difendere,…….”: questi dovrebbero essere obiettivi di apprendimento.
Se un Istruttore non sa chi è il bambino, quali sono i suoi bisogni e le sue motivazioni, e gli insegna solo esercizi (didatticismo) di palleggio, di tiro, di passaggio, non determina gli obiettivi da raggiungere, non verifica, non corregge, non fornisce consigli, non da feedback, utilizza solo metodi di insegnamento analitici, non sa comunicare, non è simpatico, non è un buon EDUCATORE.
Insegnare-Educando richiede una maturità tale che non si acquisisce solamente leggendo dei libri o assistendo a Corsi, Clinic o allenamenti, si acquista con il tempo, con l’esperienza, con l’autocritica, con l’umiltà, con la voglia di migliorarsi, di far bene, di confrontarsi e verificare quanto una persona vale. Quindi, deve possedere molte conoscenze, non solo nel Minibasket, ma deve avere delle capacità, delle competenze che, gli permetteranno successivamente di essere abile nell’insegnare.
Capacità e competenze, riguardano l’essere, non sono insegnabili.
Ogni bambino ha le proprie capacità, l’Istruttore deve trasformarle in competenze, aumentando le conoscenze, che con l’esperienza diventeranno abilità.
Le capacità e le competenze non sono disponibili in persone che non le hanno, le capacità, al pari delle competenze, sono soltanto di ognuno di noi: le mie, le sue, le tue.
Io non ho le sue e tu non hai le mie: il mio essere non è il suo.
Insegnabili e aumentabili sono le conoscenze e le abilità.
L’Istruttore ha nella sua mente i contenuti del sapere e nelle sue mani le azioni del “far bene” che può trasmettere al bambino.
Le può trasmettere sia perché le ha, sia perché il bambino è capace di averle, di acquistarle con la sua mente e con le sue mani.


Obiettivi di insegnamento

Il soggetto degli obiettivi di insegnamento è l’Istruttore.
I Programmi di insegnamento del Minibasket, anche se tecnicamente formulati dal Settore Minibasket FIP, non sono di apprendimento, sono fissati, ma ogni bambino ha un suo ritmo di apprendimento, che è determinato dal DNA, dall’ambiente in cui vive e dalla sua capacità di apprendimento.
Spesso molti Istruttori sono “misurati” dal grado con cui i bambini raggiungono le conoscenze e le abilità stabilite (esempio a 7-8 anni l’obiettivo è giocare 3 c 3 in forma libera) e non dalla qualità del lavoro educativo e didattico che l’Istruttore fa per trasformare le capacità individuali di ogni bambino in competenze.
Non è tanto importante palleggiare bene, ma saper scegliere quando palleggiare, perché (sapere a che cosa serve il palleggio ed utilizzarlo quando è opportuno) e come (tecnica esecutiva).


PRESTAZIONE STANDARD

La prestazione si riferisce sempre ad un comportamento del bambino (ma anche dell’Istruttore), osservabile e misurabile: tutti la possono vedere e controllare.
Si chiede al bambino di palleggiare a slalom e di realizzare canestro in 15″: questa è una prestazione standard.
Il concetto di prestazione standard non è incompatibile, né con i concetti di capacità e competenze, né con i concetti di conoscenze e abilità. Modifica solo, nei due ambiti, il suo significato pedagogico e la sua funzionalità didattica.
Gli Istruttori Minibasket hanno il compito di educare lo sviluppo delle capacità (motorie e tecniche) dei bambini e di valutare, nei limiti del possibile, fino a che punto sono diventate competenze (ciò si verifica solo facendoli giocare).
L’1 c 1 è una situazione reale di gioco e in questa situazione si può analizzare il comportamento del bambino, che per battere l’avversario utilizza il palleggio (regola del gioco), oppure scappa con la palla in mano (essenzialità).
Il bambino fa quello che sa e se ha imparato a palleggiare da fermo (metodo analitico), sicuramente non sa che per battere l’avversario deve palleggiare.
L’importante è metterlo di fronte ad una situazione-problema da risolvere “Cosa devi fare per battere l’avversario?” (capacità-competenze).
Se passiamo dalle capacità-competenze alle conoscenze-abilità, il discorso cambia. Non si tratta più di partire da un essere (bambino) e sforzarsi di pervenire all’identificazione delle sue manifestazioni empiriche.
Ma bisogna partire dalle sue conoscenze per trasformarle in abilità, attraverso lo sviluppo delle capacità (COMPETENZA NEL GIOCO).


Prof. Maurizio Mondoni

Fonte: dailybasket

venerdì 16 novembre 2012

L’angolo del minibasket, a cura del Prof. Mondoni


Scritto da Andrea Ferrari

Seconda parte del seminario tenuto dal Prof. Maurizio Mondoni dal tema: “Le tre C nel minibasket”. Dopo la prima della scorsa settimana dedicata alle CAPACITA’, di seguito oggi le:



COMPETENZE


Se volessimo sbrigarci con poche parole, potremmo affermare che le competenze sono le capacità individuali di ogni bambino portate a compimento: chi siamo, come ci comportiamo di fronte a problemi che ci sono presentati, come li risolviamo.
Ma non è vero.
Mentre le capacità esprimono la forma del nostro essere potenziale, le competenze manifestano la forma del nostro essere attuale.
Le capacità e le competenze sono dinamiche, in evoluzione, si trasformano continuamente.
Al pari delle capacità, le competenze riguardano il nostro essere, non sono assolutamente un nostro avere e, quindi, vanno analizzate logicamente e operativamente.
Si può affermare che ognuno di noi è più competente nella logica che nell’espressività, nell’operatività professionale, che nelle relazioni interpersonali.
Si può giungere a gradi maggiori di competenze nei campi della logica, del lavoro, delle relazioni sociali e interpersonali, nei quali siamo circa competenti.
E così per tutti gli altri aspetti, anche in quello motorio, ludico e sportivo (e nel nostro caso nel Minibasket).
Si tratta solo di considerare se da POTER ESSERE, tutti gli aspetti si sono fatti ESSERE del soggetto: sono non più una sua possibilità, ma lui, in persona, di fronte ai problemi concreti che deve risolvere.
Al pari delle capacità vanno ricordati i due rischi precedenti.
Una competenza nel Minibasket non potrà mai essere settorializzata alla competenza della tecnica cestistica, un buon Istruttore di Minibasket deve conoscere ciò che insegna, a chi lo insegna, che tipo di metodo utilizza, di che mezzi si serve, che linguaggio usa per comunicare.
Un buon Istruttore non deve dimenticarsi che il bambino deve essere al centro (“centralità”) dell’intervento educativo, deve saper comunicare e favorire la comunicazione, deve sapere quando correggere, come correggere, deve sapere che “carico” di lavoro utilizzare.
La competenza non è mai solo TEORIA (sapere come stanno le cose e perché: scienza pura), nemmeno solo TECNICA (riuscire, utilizzando parecchie procedure, a prevedere ciò che si può fare riguardo a qualche cosa e a concretizzarlo: scienza applicata), nemmeno solo l’agire, avendo visto come stanno le cose e realizzare non tanto ciò che si potrebbe realizzare, ma ciò che è bene realizzare in quella particolare situazione e come si deve, cioè con bontà.

La competenza è la dimostrazione dell’unità inscindibile di tutti questi aspetti che sono in noi quando si affronta un qualsiasi problema specifico della vita (sociale, professionale, personale) e non solo si è in grado di scegliere le soluzioni migliori rispetto alla realizzazione del compito, ma si è anche nelle condizioni di modificarle e sostituirle, se serve.
Si è artisti, o Insegnanti, o Istruttori Minibasket competenti, non tanto perché si possiedono e si esercitano le TEORIE (conoscenze) e le PROCEDURE (abilità) necessarie per svolgere il proprio lavoro in modo eccellente, quanto perché queste teorie e procedure non devono restare solo strumentali ed oggettivate, ma sono il nostro attuale modo di essere (quello che siamo e che vogliamo essere), cioè più o meno rapidi, eleganti, creativi, emotivi, collaborativi, morali, integrati, comunicativi.
Nel nostro caso di Istruttori Minibasket, non solo siamo in grado, in un gruppo di 20 bambini (eterogeneo), di stabilire i risultati di apprendimento che è ragionevole e giusto attendersi da ogni bambino che ci è stato affidato e di cercare di fare in modo che raggiunga quello e solo quello che può raggiungere (con compiutezza e soddisfazione), “mirando” agli obiettivi che ci siamo prefissi (obbligatori e optativi), utilizzando mezzi buoni e corretti (esercizi), ma possiamo fare ancora di più, quando nell’agire ci mettiamo in gioco come persone e trasformiamo le nostre esperienze in un’occasione per perfezionare la nostra vita, per vivere (fare, decidere, essere) meglio.


Come si promuovono

I mezzi che abbiamo a disposizione per passare dalle capacità alle competenze sono le CONOSCENZE (in tutte le loro forme dichiarative, condizionali e procedurali) che incontriamo o maturiamo e le ABILITA’ di cui ci impadroniamo e che utilizziamo nelle diverse situazioni nelle quali ci veniamo a trovare.
Avendo conoscenze ed esercitando abilità, abbiamo l’occasione per verificare sempre più a fondo le nostre capacità e per scoprire, a mano a mano, con le nostre competenze, chi, momento dopo momento, noi effettivamente siamo.
Potremmo perfino trovarci ad essere diversi da quelli che pensavamo di essere e di poter essere (un “noi” imprevisto).
Nessuno può dichiarare di essere e di poter essere tutto quello che è fino a quando non ha svolta tutta intera la sua vita (le contingenze empiriche, le conoscenze, le abilità di volta in volta assunte, possono costituire un’occasione per svelargli capacità insospettate).
Nessuno può dichiarare di non essere più o meno competente in e davanti a qualsiasi cosa, fino a quando non è posto nelle condizioni di poterlo dimostrare.
Le capacità non esercitate si atrofizzano, non si sviluppano e non diventano mai competenze.
E’ una nostra capacità anche il perdere una parte dell’essere reale che siamo in potenza, cioè non poterlo attuare.
Può essere bene, se queste capacità potenziali atrofizzate riguardano la parte meno nobile ed avvalorabile del nostro essere; può essere un male, però, se esse riguardano ciò che ci rende sempre migliori.
L’educazione è il processo attraverso il quale si scelgono le contingenze empiriche, le conoscenze, le abilità che ci sembrano favorire il passaggio dalle nostre migliori capacità in competenze reali.
Tutte le conoscenze esistenti ed accumulate dall’uomo nella sua storia, si equivalgono per trasformare al meglio le nostre capacità razionali in competenze razionali?
Quali sono le azioni che ci permettono di risolvere al meglio i problemi operativi che ci angustiano, di produrre cose utili a noi e agli altri, così da renderci tecnicamente competenti in uno o più settori?
Perché queste abilità e non altre, riescono a farci essere quello che siamo?


Il dibattito scientifico contemporaneo

Del termine competenza, si danno oggi in letteratura, tre versioni fondamentali.
Secondo una prima concezione (behavioristica), competente è colui che è stato addestrato, ovvero ripetutamente esposto a stimoli condizionanti, che lo portano ad acquisire determinati comportamenti misurabili ed osservabili (training), ritenuti validi per la soluzione di particolari problemi.
La seconda versione definisce le competenze come un insieme predeterminato di proprietà razionali, operative, motivazionali, emotive, relazionali ed espressive interne al soggetto, che egli mostra di possedere, indipendentemente dalla natura del compito specifico che è chiamato ad affrontare e dalla situazione concreta in cui viene a trovarsi.
In questo senso, si preferisce parlare di metacompetenze o di competenze generali, valide in tutte le circostanze, che sarebbero applicabili a qualsiasi nuova e differente situazione problematica in cui il soggetto stesso dovesse venirsi a trovare, dando così origine alle competenze specifiche (insegnamento del Minibasket).
L’ultima versione delle competenze recita: la competenza è il risultato di un’interazione tra soggetto, oggetti materiali, significati sociali impliciti ed espliciti, azioni di altri soggetti, etc.
Per dimostrare competenza, non basta saper applicare regole in situazioni semplificate ed artificiali (astratte), serve farlo ogni volta, con originalità ed adattamento, nelle situazioni concrete, legate a contesti reali in cui ci si viene a trovare.
Le competenze non sono riducibili a schemi, a sequenze o a piani d’azione codificabili in manuali, né sono trasferibili da un soggetto all’altro.
Si è competenti quando si decidono le azioni mentre si compiono, si valutano e si correggono in seduta stante, si esplorano gli elementi impliciti nelle azioni stesse per tenerne conto immediatamente in quelle successive, si ristrutturano significati e fini, contemporaneamente all’impiego di determinati mezzi, si scopre, si genera e si condivide un senso di tutto ciò che si fa, senso che si adatta e segue ogni modificazione dei dati del sistema e delle dinamiche relazionali che lo accompagnano (capacità di modificare l’andamento di una lezione di Minibasket).
Se di fronte ad un problema di qualsiasi natura (sociale, esistenziale, culturale, artistico, professionale, motorio, sportivo), ne comprendo i termini nella loro complessità, troccio un piano risolutivo, lo attuo e verifico se e in che misura è stato efficace, così da procedere alle rivisitazioni del caso, certamente dimostro di essere COMPETENTE. Dimostro di essere un uomo che ha portato a compimento le sue CAPACITA’ intellettuali.
La competenza, però, richiede qualche cosa di più determinato e contestuale per reclamarsi tale, cioè deve adattarsi alle irripetibili peculiarità di ciascun problema e comprendere l’importanza che, in ogni processo di scoperta, ha il caso o quell’inesprimibile sentimento del “non so che” che tanta parte ha avuto ed ha nell’estetica.


Orientamenti conclusivi e raccomandazioni per l’azione educativa e didattica

Le competenze non sono intenzioni dell’insegnamento, sono semmai un suo risultato.
Non si riferiscono a possibilità ideali del bambino, ma esprimono i suoi guadagni formativi reali e i suoi modi di essere nell’affrontare situazioni e problemi.
L’Istruttore è tenuto a registrarli e a lasciarne traccia nel “portfolio” di quel bambino; se poi ritiene che la competenza raggiunta da quel bambino possa essere la capacità di un altro, nulla di male se ciò è vero, ma è altresì vero che la raggiunge dopo il lavoro pedagogico esplorativo necessario per identificare le capacità di “quel” bambino.
E’ impossibile certificare il raggiungimento di competenze uguali per tutti i bambini di un determinato gruppo di Minibasket, facendo in questo modo significa trascurare quanto esposto precedentemente e procedere a semplificazioni formali.
E’ di moda parlare di competenze ai fini di debiti e crediti; è falso affermare ciò, in quanto non sono competenze, ma conoscenze e o abilità.
Non si possono quantizzare e misurare le competenze di ogni individuo, è più facile individuarle (se si è capaci) ed osservarne le sfumature, le intuizioni, i sentimenti.
Per stabilire se un bambino (o un Istruttore) è o non è competente a giocare o a insegnare Minibasket, non bisogna accontentarsi solo di griglie, di test, di prove oggettive e di esperimenti.
Questi strumenti hanno bisogno di essere integrati con altri: racconti della famiglia, della vita, i diari, ascoltare, osservare, discutere, intervistare.
Solo così si possono evitare i rischi della sostanzializzazione e della settorializzazione.

Fonte: dailybasket

giovedì 8 novembre 2012

L’angolo del minibasket, a cura del Prof. Mondoni


Scritto da: Andrea Ferrari

LE TRE “C” NEL MINIBASKET: capacita’, competenze, conoscenze


Premessa

Esiste una grande letteratura su queste tre parole, esiste anche una questione antropologica importante che ha accompagnato la filosofia da Parmenide ed Aristotele fino a Heiddeger, Fromm e Marcel: quella riguardante la distinzione tra ESSERE E AVERE.


L’essere

Dire l’essere di noi o di qualcuno, vuol dire riferirsi a ciò che di noi e di qualcuno non cambia, soggiace ad ogni nostra o altrui attuale e possibile futura modificazione (un tempo era definita sostanza o essenza).
Io sono io a tre come a 54 anni, in America come a casa mia, cambiano le condizioni e le circostanze in cui mi trovo o mi posso trovare, ma io sono sempre io.


L’avere

Avere non indica un nostro stato sostanziale, ma significa uno stato contingente del nostro essere, qualcosa che di noi e degli altri che cambia e può cambiare, modificabile nel tempo e nello spazio, che può
scomparire ed essere sostituito, senza per questo compromettermi come “io”.
Dire, per esempio “io ho” o “possiedo” o “acquisto” qualsiasi cosa (una qualità, un modo di fare, una cosa), significa che quanto si ha e si possiede si è avuto, tuttavia si può anche perdere, senza per questo pregiudicare l’essere sostanziale che siamo.
Ciò è chiaro nei significati che derivano dal latino e dal greco:

- “habitus” (modo di comportarsi, contegno di un certo tipo, da cui la nostra abitudine);
- “habilis” (abile, perito, usare bene qualcosa, fare bene qualcosa);
- ”habitare” (stare, risiedere in un luogo piuttosto che in un altro).
- “èchein” (comportamento).

Ciascuno non è quello che è, perché cambia abitudini, residenza, lavoro, gusti; insomma non è certo uguale a prima, ma non è un altro, non si deve rinnegare, né sminuirsi, è lui ancora.

Questa distinzione tra ESSERE E AVERE è feconda, anche per mettere ordine in molti concetti utilizzati nella didattica dell’insegnamento.
In questa prospettiva, si può affermare che appartengano all‘essere del bambino e o dell’Istruttore Minibasket, le capacità e le competenze, mentre si riferiscono al loro avere le conoscenze e le abilità.
Tanto si è capaci e competenti, quanto si hanno conoscenze (Iper Uranio di Aristotele o il Mondo 3 di Popper) e abilità (di comunicare, di trasmettere, possedere carisma, leaderschip); viceversa non si hanno capacità e competenze, né si è conoscenze e abilità.
Vediamo di rendere comprensibile e giustificare maggiormente queste differenze e, soprattutto, di considerare in che modo impiegarle ai fini di una migliore progettazione ed attuazione dell’insegnamento del Minibasket.


CAPACITA’

Nessuno di noi è capace di volare. Ci si può allenare, ma non è possibile raggiungere questo risultato. Volare non fa parte del nostro essere (attuale e potenziale), non è una nostra capacità interna o propensione.
Noi abbiamo la capacità di pensare e di costruire artefatti che ci permettano di librarsi nello spazio, ma perché uomini, non possiamo per niente volare.
Noi siamo chi siamo e chi possiamo diventare (anche in base al nostro DNA).
Posso imparare la matematica, sebbene non la sappia, sono capace di imparare la matematica, ne ho la propensione, però, potrò essere capace di imparare solo la matematica elementare, se sono vissuto in un ambiente familiare che non ha stimolato le mie connessioni neurali in modo adeguato e, quindi, ho perduto le mie capacità interne iniziali e, per cause esterne al mio essere, non potrò mai più accedere alla matematica superiore.
Idem per quanto riguarda il Minibasket.
Come Istruttore potrei imparare a memoria 20-50-100 esercizi di palleggio, tiro, passaggio, di difesa, giochi didattici, propedeutici (Minibasket Elementare), oppure potrei conoscere il concetto e, quindi, inventare 100-1000 esercizi, giochi, gare (Minibasket Superiore).
Tutto ciò dipende dall’ambiente in cui sono cresciuto (famiglia, ambiente in cui vivo, Insegnanti, Allenatori avuti in precedenza), dalle mie esperienze (studi, esperienze di Convegni, Clinic, Seminari) e dal mio DNA.


Il problema pedagogico

Se è vero che nessuno di noi può diventare ciò che non è in potenza, l’obiettivo nostro è far sì che ciascuno realizzi al meglio possibile se stesso, ovvero che sviluppi e metta in atto tutte le capacità interne che costituiscono il suo essere potenziale, cercando di incontrare il meno possibile forze ed ostacoli sociali, ambientali, culturali, che lo limitino e lo deformino.

Per diventare un buon Istruttore di Minibasket, competente, comunicativo, capace di individuare le potenzialità di ogni bambino/a (creare “bambini/e pensanti” ad ogni livello) e di trasformarle (in relazione alle differenti potenzialità), è bene conoscere a fondo la differenza tra l’essere e l’avere di ognuno.
Non sarebbe difficile risolvere questo problema, se le Scienze dell’Educazione (filosofia, pedagogia, psicologia, antropologia, sociologia, medicina, biologia, etc.), potessero dirci con certezza quali siano le capacità potenziali di ciascun bambino e quali cause efficienti e/o materiali, le possano comprimere, fino al punto di impedirne la futura concretizzazione.
Lo stesso dicasi per l’Istruttore Minibasket che lavora in un Centro Minibasket.
Non può essere considerato un buon Istruttore colui che non ha le capacità potenziali per esserlo, non può essere un buon Istruttore colui che conosce solamente gli esercizi, ma non sa insegnarli, colui che non sa comunicare con i bambini, che non sa utilizzare i feedback, che non sa correggere, che non sa pensare da bambino, che non sa mettersi in ginocchio e guardare i bambini negli occhi (mettersi alla loro altezza).
Per troppo tempo abbiamo guardato i bambini dall’alto in basso.
Noi Istruttori Minibasket conosciamo veramente “a fondo” i bambini dei nostri Centri Minibasket?
Conosciamo il perché proponiamo un gioco o un esercizio, sappiamo quando deve essere presentato, come deve essere eseguito in relazione alle diverse età?
L’unica strada da perseguire nell’insegnamento, è quella di attribuire ad ogni bambino, perché soggetto unico ed esclusivo, tutte le capacità che qualificano in genere gli esseri umani, cioè il pensare teoreticamente, in sostanza e tecnicamente.

Sarà poi compito dell’intervento pedagogico concreto e particolare che si deve instaurare con ciascun soggetto, impiegare strumentalmente tutte le conoscenze fornite dalle Scienze dell’Educazione, per interrogare e scoprire sempre più e meglio i livelli e le forme delle specifiche capacità di ciascuno, così da favorirne il più alto dispiegamento possibile.
E’ meglio insegnare ad ogni bambino a giocare (capacità di gioco), piuttosto che insegnare analiticamente i fondamentali cestistici e pensare che poi loro li mettano assieme e giochino.
E’ sicuramente più facile insegnare ai bambini a conoscere i movimenti del proprio corpo nello spazio e nel tempo (con o senza palla), piuttosto che insegnare loro, in modo analitico, il palleggio, il passaggio, il tiro o i movimenti senza palla in attacco e i movimenti in difesa.
E’ meglio che un bambino capisca a che cosa serve il palleggio, quando deve essere utilizzato, in che modo, se è meglio scegliere il palleggio piuttosto che il passaggio o il tiro, se è meglio difendere sul possessore di palla piuttosto che su chi non è in possesso di palla (ricordiamoci che la palla possiede una grande valenza ludica).


L‘analisi logica ed operativa delle capacità

Per agire pedagogicamente, le capacità si possono e si devono, formulare analiticamente e, quindi, è importante promuovere, nell’educazione di ciascuno, non solo la sua umanità, ma anche la sua capacità logica, critica, motivazionale, espressiva, creativa, operativa, sociale, morale, relazionale, motoria, sportiva, di porre e di risolvere problemi e di elaborare le emozioni.
E’ importante tradurre queste capacità individuali, in comportamenti o in ogni modo in prestazioni osservabili e misurabili, attraverso una corretta didattica d’insegnamento (non didatticismo), identificabile nell’abilità professionale dell’Istruttore!
Questo lavoro di analisi logica ed operativa delle capacità è molto utile, anzi è indispensabile alla progettualità didattica e all’azione educativa.
Così facendo, tuttavia, si possono correre due rischi, che a volte possono diventare pericolosi.
Il primo rischio è la sostanzializzazione delle capacità individuali dei bambini: a forza di analizzarle sul piano logico e di tradurle successivamente in dimensioni operative misurabili ed osservabili, si può giungere a pensare che si stia frantumando e rendendo maneggiabile qualcosa che esista in sé e per sé; come se le capacità fossero una sostanza autonoma e non, invece, come sono, un attributo del nostro essere.
Ogni bambino ha le “sue” specifiche capacità (schemi logici di azione, operazioni, modelli procedurali, metodi di insegnamento, capacità comunicative), le capacità non sono uguali in tutti i bambini (anche quelle motorie).
Le capacità si devono sempre riferire ad un soggetto umano concreto, con le sue specifiche capacità.
Le capacità non esistono in astratto, ma esiste solo un soggetto umano concreto che è capace.
Il secondo rischio è una conseguenza del precedente.
Se si sostanzializzano le capacità, significa che ciascuna è autonoma e autosufficiente e che esiste indipendentemente dalle altre (ad esempio la capacità logica di un individuo è strettamente legata a quella espressiva e ad altre ancora).

Non possono esistere INDICATORI operativi che valutano una capacità, non possiamo agire in un vuoto pneumatico artificiale, che ci permette di semplificare il tutto.
Se le nostre capacità sono NOI e se noi siamo noi (un qualcosa di unitario e integrale), non possiamo analizzarle e frazionarle.
I risultati dei test sono solo valori indicativi, vanno solo trascritti, ma non valutano totalmente le capacità individuali (ognuno ha le sue capacità e può raggiungere valori che sono massimi per lui e non possono essere paragonati a tabelle e percentili generali). Queste sono solo abilità!
I programmi educativi per la promozione solo delle capacità logiche non esistono, si possono scrivere solo sulla carta!

Fonte: http://www.dailybasket.it/

martedì 6 novembre 2012

Tecnica: appunti e suggerimenti sempre validi




-IL TAGLIAFUORI:
Quando il tuo difensore cerca di tagliarti fuori dal rimbalzo, DEVI muoverti e cercare una buona posizione per prendere TU l’eventule rimbalzo, usa uno SWING Mov. (finta verso un lato e supera il difensore verso il lato opposto).
Quando sei Tu il difensore, NON DEVI guardare solo la traettoria del pallone, ma seguire anche e soprattutto i movimenti dell’attaccante di cui sei responsabile.

-L’USO DELLE FINTE:
Per ogni giocatore che si trova in ATTACCO è di fondamentale importanza, ma la prima cosa da FARE quando si riceve un passaggio è guardare il canestro perché se sei in posizione di tiro costringerai il tuo difensore a SBILANCIARSI e questo è un sicuro vantaggio per l’attaccante.

- RADDOPPI DI MARCAMENTO IN DIFESA:
Chi porta un raddoppio per aiutare in difesa, deve tenere sempre una MANO verso l’alto e l’altra in basso, sempre in movimento alternato, perche’ un buon attaccante riuscirebbe sempre a far passare la palla con piu’ facilità e magari a fare anche un Bell' Assist e quindi vanificherebbe tutta la Difesa Aggressiva.

-ALLENAMENTO PER TUTTI:
Prima di iniziare qualsiasi seduta personale o di squadra sarebbe una BUONA NORMA caricarsi mentalmente e darsi degli obiettivi da raggiungere, sempre un po’ piu’ su dei precedenti; per crescere e magari diventare dei CAMPIONI NON BASTA arrivare al TOP, i veri campioni restano al TOP per molto tempo, anzi migliorano sempre di piu’ facendo sempre qualcosa di nuovo con estrema facilita’ NON perche’ per loro sia più facile, ma perché oltre al TALENTO hanno messo al loro servizio una grande PASSIONE e dei SACRIFICI DURISSIMI in allenamento.

Coach Giovanni VENUTO

Fonte: pianetabasket

venerdì 2 novembre 2012

L’angolo del minibasket, a cura del Prof. Mondoni – “L’individuazione e la ricerca del talento nella pallacanestro”





Ultima parte del clinic tenuto in Colombia dal Prof. Maurizio Mondoni dal tema “L’individuazione e la ricerca del talento nella pallacanestro”.

TEST
E’ importante predisporre una scheda individuale per ogni giocatore che comprenda i dati anagrafici, le date delle visite mediche e i risultati dei test somministrati.

TEST ANTROPOMETRICI
  1) Misurazione del peso.
  2) Misurazione dell’altezza         
  3) Diametro della mano.
  4) Apertura delle braccia.

TEST FUNZIONALI

1) Indice di Hirtz: misurare la circonferenza toracica in massima inspirazione e in massima espirazione e poi calcolare la differenza in cm.
2) Test di Lyan: eseguire una corsa calciata dietro sul posto per 1’, prendere le pulsazioni e verificare il tempo di recupero.
3) Test di Martinet (modificato prof. La Cava): eseguire 15 piegamenti degli arti inferiori, prendere le pulsazioni e verificare il tempo di recupero.
4) Test di Cooper.
5) Test di Conconi (soglia anaerobica)
6) Test di Legièr.


TEST MOTORI GENERALI

1) Flessione del busto in avanti al panchetto.
2) Test della bacchetta.
3) Seargent test e in alternativa il Test di Bosco o l’Abalakov.
4) Lancio della palla medica da 1 kg. a 2 mani in avanti (da ritti, da seduti, di schiena all’indietro).
5) Corsa veloce 20 mt. con partenza da fermi.
6) Corsa a navetta 10 mt. x 5.; cronometrare il tempo.
7) Resistenza: partenza dalla linea di fondo, corsa veloce fino a metà campo, scivolamenti a metà campo, corsa veloce in avanti, corsa all’indietro, corsa veloce in avanti, scivolamenti a metà campo, corsa veloce in avanti, corsa all’indietro, corsa in diagonale, scivolamenti, corsa in diagonale, corsa all’indietro. Cronometrare il tempo.
8) Salto in lungo da fermi o con rincorsa; misurare la distanza.
9) Salto triplo da fermi o con rincorsa; misurare la distanza.
10) Test di Fleishmann: appoggiare il piede su una tavoletta (larga 25 cm. e lunga 30 cm.), sollevare l’altro piede e rimanere in equilibrio; cronometrare il tempo di equilibrio.
11) Test della sospensione alla sbarra; cronometrare il tempo di sospensione a braccia flesse.
12) Test dei piegamenti degli arti superiori in 30”: contare il n° dei piegamenti eseguiti senza interruzione.
13) Test dei piegamenti degli arti inferiori in 30”: contare il n° dei piegamenti eseguiti senza interruzione.


TEST SPECIFICI

1) Corsa in avanti per 5-6 mt. con partenza da fermi; cronometrare il tempo.
2) Corsa laterale x 5-6 mt. con partenza da fermi; cronometrare il tempo.
3) Corsa all’indietro per 5-6 mt. con partenza da fermi; cronometrare il tempo.
4) Corsa a slalom per 10 mt. con partenza da fermi; cronometrare il tempo.
5) Gli stessi test palleggiando (di dx e di sx), con o senza arresto ad una linea.
6) Palleggio di dx o di sx da fondo campo fino all’altra linea di fondo campo; cronometrare il tempo.
7) Entrate in palleggio da dx e da sx (10); cronometrare il tempo.
8) Tiro dalle 3 posizioni: in 1’ contare quanti canestri sono stati realizzati.
9) Test sul passaggio: contare quanti passaggi si eseguono in 30” a 2 mani dal petto contro il muro (distanza 2 mt.).
10) Test sul passaggio: contare quanto tempo si impiega ad eseguire 10 passaggi battuti a terra contro il muro (distanza 4 mt.).
11) Test sulla difesa: contare quanti scivolamenti si effettuano in 30” (distanza 3 mt.).
12) Funicella.
13) “Big man”.
14h) Test su 10 esercizi di ball-handling: contare il n° delle ripetizioni effettuate in 30” o in 1’.


QUALI SONO LE MODALITA’ OTTIMALI PER LA REALIZZAZIONE DI AZIONI ORGANIZZATE DI SELEZIONE E SOSTEGNO DEL TALENTO?

Oggi la ricerca e l’identificazione del talento non può essere separata dal sostegno del talento (sistemi di allenamento e di competizione).
Per andare incontro agli aspetti motivazionali, l’allenamento sportivo deve essere interessante, divertente, piacevole, senza snaturare le principali caratteristiche tecniche e metodologiche della disciplina insegnata. Sintetizzando una serie di ricerche americane sul talento, quattro potrebbero essere le fasi fondamentali d’individuazione e di sviluppo del talento:

- iniziazione (identificazione, incoraggiamento, aspettative, sostegno affettivo, utilizzo dei feedback);
- sviluppo (efficacia, abbandoni, motivazione, costruzione di modelli efficaci, etc.);
- specializzazione (approdo al livello di eccellenza, ripercussioni del successo per la vita sociale e psicologica);
- altissimo livello (a cui accedono solo pochi atleti).

La determinazione e il sostegno del talento nel basket deve avvenire per tappe e in un percorso di più anni, integrato con l’allenamento (recupero dei talenti tardivi). Ciò conferma ancora una volta l’importanza dell’Istruttore e dell’Allenatore che si prende cura del processo.


Fasi di determinazione del talento
Una prima determinazione si realizza tra gli 8 e 10 anni (particolare idoneità alle pratica sportiva senza intenti specializzanti).
Una seconda selezione avviene a 11-12 anni ed è più attenta ai parametri antropometrici e soprattutto ai tassi si sviluppo delle capacità e abilità motorie. Anch’essa ha un valore orientativo, data l’impossibilità di prevedere certamente uno sviluppo futuro vincente.
Questa fase è importante anche ai fini del recupero di atleti, che per ragioni legate allo sviluppo biologico, durante la prima fase non avevano ricevuto una valutazione positiva.
La fase finale, quella cioè in cui sono decise le strategie di periodizzazione, in linea di massima si colloca attorno ai 13-14 anni.
Il superamento di questa data può avere effetti negativi ai fini degli apprendimenti tecnici di base.



Evitare la specializzazione precoce
Anche in questo caso l’identificazione del talento avviene sulla base dei parametri di riferimento assunti come importanti per il modello specifico di prestazione, con una maggiore attenzione per gli aspetti psicologici e motivazionali della pratica sportiva. A questo scopo è importante predisporre una scheda per ogni atleta che comprenda:
- dati anagrafici;
- dati antropometrici (peso, altezza, rapporto peso-altezza, apertura delle braccia);
- anamnesi e date delle visite mediche;
- risultato del questionario “morning” – “evening”;
- risultati dei test funzionali, psicologici e sociometrici;
- risultati del questionario “stima dell’Istruttore”;
- risultati dei test motori generali (3 prove e si sceglie la migliore o si calcola la media) e specifici.
CONCLUSIONI
Nonostante l’apparenza di scientificità dei sistemi di allenamento adottati oggi, nell’attività giovanile siamo lontani da una conoscenza organizzata delle strategie d’individuazione e di sviluppo del talento. Prevedere il talento significa:
- offrire un ambiente accogliente e un’immagine attraente della disciplina;
- offrire occasioni di gratificazioni consistenti in concomitanza con la richiesta di allenamenti a carico crescente;
- offrire una rete di servizi e benefits alla prestazione e all’atleta che abbiano natura continuativa e possano essere erogati anche al termine della carriera agonistica;
- integrare i servizi offerti dai Club e dalle Federazioni con servizi resi a livello periferico (CONI locale e altre strutture di servizio);
- sviluppare una rete interattiva a più protagonisti (Enti locali, Club, Federazioni) per sostenere il talento;
- sviluppare un sistema continuo di produzione di dati scientifici;
- integrare previsione ed allenamento.


Prof. Maurizio Mondoni

Fonte : http://www.dailybasket.it/