mercoledì 21 novembre 2012

Zona, come sei ridotta!


C’era una volta la difesa a zona, un sistema difensivo efficace, capace di ostacolare o invalidare le manovre offensive o di riportare in linea di galleggiamento le squadre che cedevano sotto i colpi di attacchi alla difesa individuale ben articolati, in grado di individuare i punti deboli della difesa e punirli con successo.
Spiace dirlo, ma oggigiorno, salvo rare eccezioni, non è più così.
Da sempre considerata sorella minore di quella individuale – non per età ma per l’importanza attribuitale – la zona balza di tanto in tanto alla ribalta e all’onore della cronaca non tanto per l’impatto positivo che esercita sul gioco della squadra che la adotta ma, al contrario, per la sua inefficacia.
Vero è, per non denigrarla oltre misura, che la sua adozione a sorpresa produce a volte gli effetti voluti per l’evidente impreparazione di chi la attacca, dovuta a desuetudine e poca attenzione, a colpire i suoi punti deboli. Ma spesso è improduttiva perché è usata impropriamente, in modo inadatto a complicare le svolgimento delle manovre offensive e a incepparle fino a provocare penalizzanti ricicli.
Anziché favorire agevoli recuperi o buoni vantaggi diventa un mezzo che causa affannose rincorse e che consente all’attacco di causare ferite profonde nel suo tessuto connettivo che ne indeboliscono la consistenza. Il muro difensivo mostra spesso e volentieri crepe che lo indeboliscono e che, facendosi sempre più ampie sotto i colpi dell’attacco, finiscono per sgretolarlo.
Spesso il suo impiego – esiguo, senza alcun dubbio, in termini di minuti – appare spesso improvvisato, estemporaneo e incapace, quindi, di trarre benefici da un vantaggio per niente secondario: molte squadre non la sanno attaccare per l’impreparazione dovuta allo scarso tempo dedicato per preparare le azioni offensive.
Nel corso di non poche partite viene da chiedersi perché un allenatore ricorra alla zona – fatto salvo l’evidente e logico tentativo di ovviare a carenze di quella individuale o di sorprendere l’attacco – contando di ricavarne un vantaggio competitivo.
In campo si vede un ibrido che dimostra poca attenzione non soltanto ai dettagli e alle particolarità di ogni versione adottata – “2-3”, “1-3-1”, “1-2-2”, ecc… – ma anche, ed è ben più grave, alle norme canoniche che ne regolano adozione e sviluppo. Si vedono movimenti impropri, imprecisi che favoriscono l’attacco capace di leggerli tempestivamente e di adottare le contromisure appropriate.
E pensare che, se ben eseguita, questa difesa è, a dispetto dell’opinione di molti che le preferiscono la più dinamica difesa individuale, efficace e gradevole da vedere. Quando è ben giocata è una delle migliori espressioni del gioco di squadra e guadagna, a pieno titolo, la parte di merito che deriva dal rendere piacevole e spettacolare il basket.
Il movimento coordinato dei cinque difensori, i corretti adeguamenti alle iniziative degli attaccanti, la prontezza nel chiudere i varchi, la capacità di imporre, di forzare le scelte dell’attacco sono solo alcuni degli aspetti positivi di una difesa a zona valida e vincente.
Con questa tirata non si vuole che la zona diventi la difesa base di parecchie squadre (così come fa Jim Boeheim con la sua Syracuse impiegando la “2-3”, con qualche scampolo di “match-up”, come difesa standard per l’intera partita), ma che le sia prestata maggiore attenzione, l’attenzione che merita.
In chiusura e in tutta modestia, un invito quindi agli allenatori, di qualsiasi livello, e ai giocatori, di qualsiasi categoria: ripulite dalle scorie le manovre difensive della zona, nelle sue varie forme, e i fondamentali individuali connessi. Ne beneficerà l’efficacia della difesa, che incrementerà la sua temibilità e, di conseguenza, la qualità complessiva del gioco e il basket ne trarrà un ulteriore vantaggio tecnico-tattico e spettacolare.

ALDO OBERTO

Per ulteriori approfondimenti e curiosità sugli stili di gioco delle squadre si rimanda al sito
www.lavagnatecnica.it

Fonte: dailybasket


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