martedì 29 gennaio 2013

I campioni dimenticati

Per dovere di cronaca nei confronti di tutti gli appassionati di basket, anche se la notizia non è recentissima, mi è sembrato opportuno evidenziare questo articolo riportato  sul sito Roseto sharks, tratto dal Corriere dello Sport, e riguardante l'attuale attività svolta da  un ex cestista, che sembrava destinato a diventare una stella, ed invece il destino le ha riservato tutt'altra sorte.

Qui sotto prima dell'articolo, ciò che riporta Wikipedia 


Inizia ad allenare dopo dieci anni di carriera italiana da giocatore.
Nel 1994 esordisce come capo allenatore sulla panchina di Forlì, in serie A2, squadra con la quale raggiunge subito la promozione in serie A1.
Nel suo curriculum una Supercoppa Italiana vinta nel 1996 sulla panchina di Verona ai danni di Milano, un'altra promozione in serie A conRoseto degli Abruzzi e la conquista dei playoff di serie A per quattro volte con tre squadre diverse: SienaRoseto e Pesaro (raggiungendo la semifinale scudetto, la finale di Coppa Italia e la qualificazione all'Eurolega).
A questi risultati si aggiungono quattro partecipazioni alle coppe europee sulle panchine di Siena (Coppa Korać), Udine (Coppa Saporta), Roseto (ULEB Cup) e Pesaro (Euroleague).
Stabilitosi a Roseto, è tornato nella stagione 2012/13 ad allenare la formazione locale in DNB.


Oggi, giovedì 10 Gennaio 2013, esattamente a pagina 17 del quotidiano nazionale “Corriere dello Sport”, nella sezione dedicata al Basket, ecco un articolo da ben 680 parole e 3259 caratteri, interamente dedicato a coach Phil Melillo.
“La nuova vita dell’edicolante Melillo”, questo il titolo scelto dal giornalista Andrea Barocci del Corriere, che ha intervistato in prima persona l’allenatore nativo di Newark, passando dalla sua carriera da giocatore in Italia, alla sua nuova avventura sulla panchina degli Sharks. Di seguito, vi riproponiamo l’articolo uscito stamane in tutte le edicole della penisola.
Dal Corriere dello Sport di oggi:
Ogni mattina la sveglia di Phil suona alle 5. Quando esce di casa, il freddo pungente e l’aria che sa di mare lo accolgono in un intimo abbraccio. Lui si dirige verso il centro di Roseto, tira su la saracinesca con lo slancio del ragazzo che era, raccoglie i pacchi di giornali appena scaricati da solito furgone, accende il riscaldamento e inizia a lavorare. Phil Melillo, l’edicolante. E’ come un lampo, i ricordi si trasformano in uno stato temporale che porta lui, italo-americano giovane, bello e fortissimo, sul parquet; e noi, adolescenti, sulle tribune del Palazzetto di Roma. E’ il 1976, la stagione che Phil chiuderà alla media di 27 punti. Ancora un balzo nel tempo: è il 1996, eccolo che sorride, coach di Verona, ha appena vinto la Supercoppa in casa di Milano.
PERCHE’? La burocrazia italiana gli aveva rubato sei anni di vita da giocatore, ma la carriera di tecnico gli ha regalato tante soddisfazioni. Allora perché Melillo non siede più su una panchina di serie A da dieci anni, da quando cioè guidò Pesaro in semifinale ottenendo il visto per l’Eurolega? Perché sta vendendo giornali nella Roseto dove ha scelto di vivere insieme con la sua famiglia? Phil risponde con pacatezza. E’ un uomo buono, lo è sempre stato. “ E’ dipeso da me. Dopo aver fatto il vice a Boniciolli alla Virtus Bologna, nel 2008-09, mi sono detto: sto a casa mia, prendo una pausa di riflessione. Da allora ho ricevuto altre offerte, ma nulla di interessante. Poi due anni fa ho avuto l’occasione di comprare questa edicola. Cosa mi è venuto in mente? Non lo so… E’ un lavoro molto impegnativo. Mi sveglio alle 5, vado ad aprire, sto lì fino alle 8.30 quando vengono a darmi il cambio mia moglie (Mari Fava, anche lei ex giocatrice, ndr) e mia figlia; a volte chiudo verso le 13. Vado a casa e nel pomeriggio c’è allenamento”.
PETRUCCI Già, pochi mesi fa è stato chiamato in corsa da Roseto, la squadra che milita in DNB, la vecchia B2, e che con lui ha vinto le ultime 5 gare. Per quei ragazzi, essere allenati è come lavorare ogni giorno con un mito. Un mito che, sessantenne, ha un fisico da marine e il palleggio dei bei tempi. Quelli che il nostro basket gli ha bruciato in volo. Doveva diventare italiano nel 1977, il ct Primo sognava di averlo in Nazionale: lo tennero fermo invece tre anni. “Fu grazie a Bogoncelli, presidente di Milano che mi aveva preso e fece causa alla Federazione, che la situazione si bloccò in parte. Mi diede una grossa mano Gianni Petrucci, al tempo segretario generale della Fip, permettendomi di giocare per tre anni in serie C”. Quando finalmente gli diedero quel maledetto passaporto, la sua gioventù e i suoi sogni erano stati ridotti in polvere: giocò a Treviso, Rieti e Roma, poi smise, diventando allenatore.
“Da coach ho ottenuto una promozione con Forlì, ho vinto una Supercoppa con Verona, un 7° posto con Siena, ho portato Roseto in A1 e Pesaro in Eurolega. Cosa è successo? Forse dopo Pesaro non avrei dovuto accettare di andare in Legadue con Novara, avrei dovuto aspettare la chiamata di un club di A… Sono state tutte mie scelte”. Come quella di dire sì alla chiamata del Roseto, e di allenare in quel palazzetto a pochi metri dalla sua abitazione. “L’ho fatto per passione, quella passione che sentivo stava tornando. Mia moglie mi ha detto: “Provaci, ti aiutiamo noi con l’edicola”. Ora sono contento, qui mi trovo bene, Roseto è un club ben organizzato e con un buon settore giovanile. Se mi richiamasse una squadra di A?” La domanda si perde nei ricordi, nelle speranze, nella consapevolezza di essere ancora un allenatore di livello superiore. Anche oggi si sveglierà alle 5. E sarà il primo a leggere questa intervista.
Scritto da Andrea Barocci
Fonte: Rosetosharks.com

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