Ecco per i più giovani la storia della finale di basket di quaranta anni fa di cui si conservano in una banca svizzera le dodici medaglie d’argento che gli sconfitti non hanno mai voluto ritirare. Era il 9 settembre del 1972 e nel clima blindato delle Olimpiadi di Monaco di Baviera, appena sconvolte dal terrorismo, si giocò il match conclusivo del torneo di pallacanestro tra USA e URSS. Una sfida tradizionale, sportiva ma anche politica: erano gli anni della guerra fredda e della divisione del mondo in due blocchi l’un contro l’altro armati. La contrapposizione in campo rifletteva le profonde differenze ideologiche tra capitalismo e comunismo. Appena una settimana prima lo statunitense Bobby Fischer ha strappato, a sensazione, al sovietico Boris Spassky lo scettro di miglior scacchista del mondo, una specialità che sembrava esclusiva dell’URSS dalla fine della seconda guerra mondiale. Un lutto nazionale, dal Baltico alla Kamchatka. Fischer aveva vinto in un mare di polemiche. Due giorni dopo, l’attacco terroristico dei Fedayn al villaggio olimpico, con la scia di morti tra gli atleti israeliani: orrore e paura, ma lo sport decide di andare avanti. Sul parquet bavarese della Rudy Sedlmayer Hall gli Stati Uniti non sono solo i favoriti, sono la storia del basket. Hanno in bacheca 7 medaglie d’oro olimpiche consecutive con 63 vittorie e 0 sconfitte, da quando a Berlino 1936 il basket è diventato sport olimpico. E’ stata veramente una partita molto combattuta, con giocatori espulsi e tanto agonismo. La sfida si decide negli ultimi tre secondi di gioco che, per decisione di William Jones, l’allora presidente della Federazione Internazionale del Basket (FIBA), si giocano tre volte. Con un seguito di polemiche e di accuse di “vittoria rubata” da parte degli USA che sono ancora vive oggi. Pochi secondi al termine, gli USA che hanno inseguito per tutta la gara hanno i due liberi del sorpasso. Doug Collins, poi allenatore di Jordan ai Bulls 1986-89, va in lunetta e non sbaglia 50-49. Nel caos i sovietici non rimettono la palla in campo e la sirena spinge gli americani ad esultare. I russi protestano dicendo di aver chiesto timeout, quindi si devono rigiocare i tre secondi finali. Giusto o sbagliato che sia, si ri-gioca. Appena dopo la rimessa nuovo suono di sirena, e fermi tutti per un errore del cronometrista che di secondi ne ha assegnati cinquanta. Discussioni senza fine, ma si riparte con la nuova rimessa sovietica. E così per la storia che, Aleksandar Belov, indiscusso campione russo che morirà precocemente a soli 26 anni, mette dentro il canestro il pallone della vittoria 50-51. Sbigottimento totale degli americani che non hanno mai accettato il verdetto del campo. Doug Collins dirà in seguito: “Ho avuto una vita felice. Ma se Dio mi concedesse di tornare indietro, per una volta, non avrei dubbi: chiederei di poter rigiocare una partita. Quella”. 40 anni fa, una storia che ha fatto il giro del mondo: e nemmeno la vittoria nella successiva edizione di Montreal 1976 (USA-Jugoslavia 95-74, Italia al 6° posto) è riuscita a far dimenticare alla nazione americana.
Scritto da: Umberto De Santis ( http://www.dailybasket.it/ )
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