Oggi sull' Unione Sarda, un pezzo dedicato a Tore Serra che vi proponiamo integralmente, ma prima vi consigliamo la lettura di questo articolo di Stefano Ambu, pubblicato sulla Nuova Sardegna, nientemeno che, il 24 febbraio 2001
CAGLIARI. Tore Serra, un anno a Sassari, una vita a Cagliari. Ha iniziato con il Brill, a 14 anni, e l'anno dopo era già in A a realizzare i suoi primi due punti, il giorno dell'esordio, contro il Gorena Petrarca. Inevitabili le convocazioni nelle nazionali di tutti i tipi, cadetti, juniores (medaglia di bronzo agli Europei), militare e sperimentale. Poi, la parabola ascendente del basket a Cagliari, sino ai play off per lo scudetto, ma anche quella discendente con le due tristissime annate Acentro.
E allora, l'esilio. A Pordenone, in A2, a Latina e a Sassari. «Alla Dinamo sono stato troppo bene _ ricorda Serra _ e mai e poi mai me ne sarei voluto andare. Dopo una prima fase traballante, abbiamo iniziato a ingranare, andando avanti con una media punti da promozione. Bel gruppo, quello: Milia, Carrabs, Pirisi. Purtroppo però il mio cartellino apparteneva al Pordenone». E allora ecco la seconda parentesi in Friuli, per poi riniziare l'anno successivo, una nuova vita, ancora a Cagliari, ma in granata, con l'Esperia, nella seconda metà degli anni Ottanta. Erano anni di derby. «Le sfide con la Dinamo erano particolari. La partita iniziava già dal lunedì: i tifosi e la stampa ci erano addosso ogni minuto». Ma poi, tutto finiva in una pacifica bolla di sapone. «Personalmente non posso negare di aver vissuto emozioni più forti del normale, ma, in fin dei conti, gli avversari erano tutti amici, gente con cui avevo giocato insieme. I miei compagni? Non so se sentissero la partita più di me: sul campo sono stati sempre dei derby correttissimi». E il tifo? «Grande calore, sia a Cagliari che a Sassari, ma sempre senza superare certi limiti. Non ci sono mai state né invasioni, né problemi di ordine pubblico». E invece, proprio in quegli anni, la situazione al Sant'Elia e all'Acquedotto non era così idilliaca: elicotteri, manganelli e lacrimogeni. «E difficile spiegare perché le tifoserie di calcio e basket siano così diverse. Risposte non ne ho, posso solo basarmi su impressioni: il calcio ha una tradizione più antica e non necessariamente porta allo stadio solo amanti dello sport. Nel basket è diverso, il tifoso non vede solo la palla a spicchi, ma ama allo stesso modo anche altre discipline, calcio compreso. C'è, forse, una cultura sportiva più ampia». Da quando ha smesso, nel '90, a 35 anni, non ha quasi più messo piede in un palazzetto: della Dinamo e della Pallacanestro Cagliari del 2001 sa qualcosa solo attraverso i giornali e la tivù. «Parlo in generale: nel basket di oggi non mi ritrovo un granchè. Mi sono allontanato dall'ambiente quando non ho più visto gioia in chi gioca a pallacanestro: troppi mercenari e poco spirito di gruppo. Ecco, a basket si gioca facendo gruppo: chi ritrova quello spirito va avanti e vince. Gli altri perdono». Il derby dell'andata lo ha visto sì, ma solo in televisione. «La Dinamo, in quell'occasione, ha dimostrato di essere una vera squadra. Altrettanto, purtroppo, non posso dire del Cagliari. Sarebbe magnifico vedere questo derby in serie A». Ora, a undici anni di distanza dal ritiro, i derby sono il pane quotidiano di Tore Serra: le squadre della società che lui stesso ha fondato, il Basket Su Planu, tra Cagliari e Selargius, giocano esclusivamente contro avversari del circondario. Ma perché i giovani, a Cagliari, promettono e non mantengono? «Una delle ragioni risiede proprio nelle fortune delle squadre di vertice: come può una squadra con mille problemi, vedi il Cagliari di questi anni, far giocare con la giusta serenità un Villasanta o un Manca? L'esempio contrario è proprio Sassari: lì le cose vanno bene e i ragazzi, accanto agli anziani, accumulano minuti, esperienza e possono crescere con assoluta tranquillità». Un nome e una speranza per il futuro? «Michele Mastio, classe 1983, della Pallacanestro Cagliari. Adesso è negli Usa a studiare, ma sono sicuro che quando tornerà, farà parlare di sè».
E allora, l'esilio. A Pordenone, in A2, a Latina e a Sassari. «Alla Dinamo sono stato troppo bene _ ricorda Serra _ e mai e poi mai me ne sarei voluto andare. Dopo una prima fase traballante, abbiamo iniziato a ingranare, andando avanti con una media punti da promozione. Bel gruppo, quello: Milia, Carrabs, Pirisi. Purtroppo però il mio cartellino apparteneva al Pordenone». E allora ecco la seconda parentesi in Friuli, per poi riniziare l'anno successivo, una nuova vita, ancora a Cagliari, ma in granata, con l'Esperia, nella seconda metà degli anni Ottanta. Erano anni di derby. «Le sfide con la Dinamo erano particolari. La partita iniziava già dal lunedì: i tifosi e la stampa ci erano addosso ogni minuto». Ma poi, tutto finiva in una pacifica bolla di sapone. «Personalmente non posso negare di aver vissuto emozioni più forti del normale, ma, in fin dei conti, gli avversari erano tutti amici, gente con cui avevo giocato insieme. I miei compagni? Non so se sentissero la partita più di me: sul campo sono stati sempre dei derby correttissimi». E il tifo? «Grande calore, sia a Cagliari che a Sassari, ma sempre senza superare certi limiti. Non ci sono mai state né invasioni, né problemi di ordine pubblico». E invece, proprio in quegli anni, la situazione al Sant'Elia e all'Acquedotto non era così idilliaca: elicotteri, manganelli e lacrimogeni. «E difficile spiegare perché le tifoserie di calcio e basket siano così diverse. Risposte non ne ho, posso solo basarmi su impressioni: il calcio ha una tradizione più antica e non necessariamente porta allo stadio solo amanti dello sport. Nel basket è diverso, il tifoso non vede solo la palla a spicchi, ma ama allo stesso modo anche altre discipline, calcio compreso. C'è, forse, una cultura sportiva più ampia». Da quando ha smesso, nel '90, a 35 anni, non ha quasi più messo piede in un palazzetto: della Dinamo e della Pallacanestro Cagliari del 2001 sa qualcosa solo attraverso i giornali e la tivù. «Parlo in generale: nel basket di oggi non mi ritrovo un granchè. Mi sono allontanato dall'ambiente quando non ho più visto gioia in chi gioca a pallacanestro: troppi mercenari e poco spirito di gruppo. Ecco, a basket si gioca facendo gruppo: chi ritrova quello spirito va avanti e vince. Gli altri perdono». Il derby dell'andata lo ha visto sì, ma solo in televisione. «La Dinamo, in quell'occasione, ha dimostrato di essere una vera squadra. Altrettanto, purtroppo, non posso dire del Cagliari. Sarebbe magnifico vedere questo derby in serie A». Ora, a undici anni di distanza dal ritiro, i derby sono il pane quotidiano di Tore Serra: le squadre della società che lui stesso ha fondato, il Basket Su Planu, tra Cagliari e Selargius, giocano esclusivamente contro avversari del circondario. Ma perché i giovani, a Cagliari, promettono e non mantengono? «Una delle ragioni risiede proprio nelle fortune delle squadre di vertice: come può una squadra con mille problemi, vedi il Cagliari di questi anni, far giocare con la giusta serenità un Villasanta o un Manca? L'esempio contrario è proprio Sassari: lì le cose vanno bene e i ragazzi, accanto agli anziani, accumulano minuti, esperienza e possono crescere con assoluta tranquillità». Un nome e una speranza per il futuro? «Michele Mastio, classe 1983, della Pallacanestro Cagliari. Adesso è negli Usa a studiare, ma sono sicuro che quando tornerà, farà parlare di sè».
Stefano Ambu
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