Questa affermazione invita tutti a riflettere e ad agire in un’ottica di sport vero, pulito, veicolo di valori, cultura e non solo di risultati, di agonismo esasperato e di doping.
Il Fair Play è un modo di vivere
Questa deve essere una serata di meditazione, di riflessione e dovrebbe essere aperta a tutti (Genitori, Dirigenti, Istruttori, Allenatori, Insegnanti).
Lo sport non è solo prestazione fisica, è al tempo stesso prestazione morale ed è proprio in questo contesto che interviene il Fair Play.
La cultura sportiva
Il cittadino medio pensa di possedere cultura sportiva perché va allo stadio, perché legge i giornali sportivi oppure perché discute di sport al bar con gli amici.
Questa non è cultura, è tifo.
La cultura sportiva è l’insieme delle esperienze motorie e sportive e delle sensazioni maturate da un persona con il passare del tempo.
Le Agenzie Educative che devono promuovere questo tipo di cultura sono:
– la famiglia
– la scuola
– la società sportiva
Ogni famiglia deve essere il centro dei valori umani, perché è da lì che essi nascono, sbocciano, fioriscono e portano il giovane alle alte vette di questo tipo di cultura. I genitori devono essere sempre e in ogni occasione il “buon esempio” per i loro figli, in tutti gli ambiti (morale, sociale, educativo, motorio e sportivo).
A scuola il “buon esempio” deve arrivare dagli Insegnanti, in quanto da loro dipende la formazione degli allievi e quindi ognuno ha il dovere di porsi e di proporsi come un buon esempio di condotta, di comportamento, di scelte, di pensieri e di Fair Play. L’Insegnante deve essere un modello (tra i tanti modelli) per i suoi allievi (in ambito educativo, sociale, motorio e sportivo), un ideale per loro, una meta da raggiungere.
Nella Società Sportiva, il buon esempio deve arrivare dai Dirigenti, dagli Istruttori e dagli Allenatori, che non devono “curare” solo i talenti, ma si devono interessare di tutti gli atleti della società, anche i meno bravi, con amore, comprensione, pazienza e educazione. Devono insegnare loro come comportarsi in campo (nei confronti degli avversari, dell’arbitro e del pubblico), devono far capire loro che si può anche perdere (e non sempre è colpa dell’arbitro), devono far capire loro che esistono delle regole di condotta da rispettare durante il gioco, gli allenamenti, nella vita di relazione.
Il carattere, la personalità e il Fair Play dei giovani atleti si formano con il passare del tempo, attraverso gli esempi e i modelli da imitare.
Dobbiamo smettere di dire che l’importante è partecipare.
L’agonismo è insito in ciascuno di noi, sin dalla nascita, basta educarlo e convogliarlo in giusti canali; l’agonismo è una componente insopprimibile della pratica sportiva. Quello che bisogna aborrire è l’antagonismo, cioè il voler vincere a tutti i costi, costi quel che costi!
L’importante è confrontarsi e verificare quanto una persona vale e se ogni volta ci si migliora è come se si avesse vinto.
Quando si gioca la partita deve essere un confronto tra due squadre e non scontro e con fair play. Questa è una filosofia che non sempre è accettata dai genitori e dai tecnici, ma che a lungo andare paga sempre.
I media orientano i loro riflettori principalmente verso i vincitori. Dobbiamo ammettere che è il denaro ad attirare i vincitori e i loro concorrenti e a questo punto è difficile coniugare il successo con il Fair Play: il successo è sempre misurabile, mentre il Fair-Play non lo è.
Durante le cerimonie protocollari delle premiazioni, nessun riconoscimento è previsto per il Fair Play: né premi in denaro, né medaglie, né diplomi.
Il successo è l’aspetto tangibile mentre il Fair Play è l’aspetto invisibile.
Due poli opposti che si determinano reciprocamente, tanto più si allontanano l’uno dall’altro.
Non si può concepire lo sport senza regole, ma l’osservanza di regole e normative non si applica al Fair Play.
Comandamenti come il Decalogo del Fai Play non bastano. Al Fair Play si può giungere solo con un atto personale di volontà, in quanto esso non è mai un semplice valore in sé, ma un modo di vivere.
IL FAIR PLAY E’ UN MODO DI VIVERE
Il Fair Play non deriva da un atto singolo ma da un comportamento di vita, non è mai un bene acquisito per sempre, non nasce da teorie filosofiche sviluppate in un ambiente chiuso, ma dall’incontro, dal dialogo e dalla competizione.
L’essenziale non è aver vinto, ma aver dato il meglio di se stessi nella competizione.
Chiunque si dedichi alla divulgazione di queste idee, apre la via ad una umanità più coraggiosa, più forte, cosciente e generosa.
Il Panathlon International si batte da anni per portare avanti questi concetti e ben vengano tavole rotonde, seminari, conviviali, che siano testimonianze efficaci per fare in modo che il buon esempio e che il Fair Play ritornino in famiglia, nella scuola e nei campi sportivi.
Ne abbiamo bisogno!
Quali sono i criteri che permettono di riconoscere il Fair Play?
Il Fair Play non si decreta, deve nascere da sé e il suo valore si rivela considerando il suo contrario: l’atto sleale.
Per esempio il doping, non certo l’unico flagello dello sport attuale, ma forse il più grave e diventato negli ultimi anni sinonimo di disumanità nello sport. Sappiamo che i divieti non bastano, occorrono la sensibilizzazione dell’opinione pubblica, la vigilanza crescente negli ambienti sportivi, la reazione degli sportivi stessi, il lavoro certosino della famiglia e della scuola, sono segnali incoraggianti.
L’agonismo sportivo deve essere educato, non esasperato.
L’esasperazione dell’agonismo conduce lo sport ad essere non più immagine della vita, ma della guerra e se non è ben controllato ed orientato, può diventare un attentato alla vita.
Il mondo dello sport ha bisogno di Educatori, Insegnanti, Allenatori veri.
Educare significa “tirare fuori il meglio da ognuno”
, quindi occorre fare in modo che tutti diano il massimo: se uno da il massimo è come se avesse vinto.
Come si deve fare per “tirare fuori il massimo da ognuno?
Occorre che la famiglia sia solida, che possegga valori e ideali importanti, che gli Insegnanti siano capaci e competenti e che la società sportiva sia sana.
La cultura sportiva, il buon esempio e il Fair Play non nascono da soli, devono essere educati e sviluppati da persone con buon senso, competenti ed equilibrate.
Lo sport gioca un ruolo importante e decisivo nell’educazione dei giovani, i suoi valori possono entrare, assieme al Fair Play nella cultura dei cittadini del domani, ma per poter fare tutto ciò occorrono genitori bravi e intelligenti, Insegnanti al passo con i tempi, Istruttori e allenatori più Educatori e meno tecnici (se poi sono anche dei bravi tecnici tanto meglio), Dirigenti all’altezza delle situazioni Operatori Sportivi, Dirigenti e giornalisti, consapevoli dell’importante ruolo che ricoprono.
Abbiamo bisogno di modelli di FAIR PLAY.
Scivolano gli anni, mutano le generazioni, nascono le guerre, gli atti di terrorismo, i media amplificano sovente immagini ed echi degli eventi negativi, si parla tanto di spettacolo sportivo, ma poco di Fair Play. Eppure ogni anno in tutti i paesi appaiono e si avvicendano i testimoni del Fair Play: Paolo Di Canio in Inghilterra ne è l’esempio più eclatante.
Ma Fair Play non è solo questo: comportarsi bene in campo, con cavalleria, rispettare gli avversari, gli arbitri, i compagni di squadra, il pubblico.
Un buon Educatore deve educare i propri atleti sia alla vittoria che alla sconfitta: questi sono buoni esempi di Fair Play.
Insegnare a perdere senza fare drammi, insegnare a vincere senza esaltarsi troppo.
Umano è vincere, umano è perdere, ma la sfida sta nel saper vivere con nobiltà e dignità d’intenzione e di comportamento, l’uno e l’altro momento della vita: entrambi sono degni di memoria solo se riferiti al cammino di crescita e di perfezione della persona.
Conclusioni
Spirito e pratica del Fair Play sono forse reminescenze di una mitica “età dell’oro” dello sport, vissuta, se mai è esistita da una classe di privilegiati anglosassoni?
O forse graffiti di una stagione travolta da un epocale mutamento dei valori nelle società cosiddette avanzate?
Oppure atteggiamenti e gesti di lealtà, di rispetto e di onore per l’avversario, di congeniale osservanza delle regole scritte e non scritte della competizione, di fedeltà alla verità del risultato anche contro la propria utilità?
Oppure dobbiamo pensare che il Fair Play è riservato a una sparuta specie di epigoni di un romanticismo sportivo attardato ai margini dei clamori e degli spettacoli imperanti?
http://www.mauriziomondoni.com/
Il Fair Play è un modo di vivere
Questa deve essere una serata di meditazione, di riflessione e dovrebbe essere aperta a tutti (Genitori, Dirigenti, Istruttori, Allenatori, Insegnanti).
Lo sport non è solo prestazione fisica, è al tempo stesso prestazione morale ed è proprio in questo contesto che interviene il Fair Play.
La cultura sportiva
Il cittadino medio pensa di possedere cultura sportiva perché va allo stadio, perché legge i giornali sportivi oppure perché discute di sport al bar con gli amici.
Questa non è cultura, è tifo.
La cultura sportiva è l’insieme delle esperienze motorie e sportive e delle sensazioni maturate da un persona con il passare del tempo.
Le Agenzie Educative che devono promuovere questo tipo di cultura sono:
– la famiglia
– la scuola
– la società sportiva
Ogni famiglia deve essere il centro dei valori umani, perché è da lì che essi nascono, sbocciano, fioriscono e portano il giovane alle alte vette di questo tipo di cultura. I genitori devono essere sempre e in ogni occasione il “buon esempio” per i loro figli, in tutti gli ambiti (morale, sociale, educativo, motorio e sportivo).
A scuola il “buon esempio” deve arrivare dagli Insegnanti, in quanto da loro dipende la formazione degli allievi e quindi ognuno ha il dovere di porsi e di proporsi come un buon esempio di condotta, di comportamento, di scelte, di pensieri e di Fair Play. L’Insegnante deve essere un modello (tra i tanti modelli) per i suoi allievi (in ambito educativo, sociale, motorio e sportivo), un ideale per loro, una meta da raggiungere.
Nella Società Sportiva, il buon esempio deve arrivare dai Dirigenti, dagli Istruttori e dagli Allenatori, che non devono “curare” solo i talenti, ma si devono interessare di tutti gli atleti della società, anche i meno bravi, con amore, comprensione, pazienza e educazione. Devono insegnare loro come comportarsi in campo (nei confronti degli avversari, dell’arbitro e del pubblico), devono far capire loro che si può anche perdere (e non sempre è colpa dell’arbitro), devono far capire loro che esistono delle regole di condotta da rispettare durante il gioco, gli allenamenti, nella vita di relazione.
Il carattere, la personalità e il Fair Play dei giovani atleti si formano con il passare del tempo, attraverso gli esempi e i modelli da imitare.
Dobbiamo smettere di dire che l’importante è partecipare.
L’agonismo è insito in ciascuno di noi, sin dalla nascita, basta educarlo e convogliarlo in giusti canali; l’agonismo è una componente insopprimibile della pratica sportiva. Quello che bisogna aborrire è l’antagonismo, cioè il voler vincere a tutti i costi, costi quel che costi!
L’importante è confrontarsi e verificare quanto una persona vale e se ogni volta ci si migliora è come se si avesse vinto.
Quando si gioca la partita deve essere un confronto tra due squadre e non scontro e con fair play. Questa è una filosofia che non sempre è accettata dai genitori e dai tecnici, ma che a lungo andare paga sempre.
I media orientano i loro riflettori principalmente verso i vincitori. Dobbiamo ammettere che è il denaro ad attirare i vincitori e i loro concorrenti e a questo punto è difficile coniugare il successo con il Fair Play: il successo è sempre misurabile, mentre il Fair-Play non lo è.
Durante le cerimonie protocollari delle premiazioni, nessun riconoscimento è previsto per il Fair Play: né premi in denaro, né medaglie, né diplomi.
Il successo è l’aspetto tangibile mentre il Fair Play è l’aspetto invisibile.
Due poli opposti che si determinano reciprocamente, tanto più si allontanano l’uno dall’altro.
Non si può concepire lo sport senza regole, ma l’osservanza di regole e normative non si applica al Fair Play.
Comandamenti come il Decalogo del Fai Play non bastano. Al Fair Play si può giungere solo con un atto personale di volontà, in quanto esso non è mai un semplice valore in sé, ma un modo di vivere.
IL FAIR PLAY E’ UN MODO DI VIVERE
Il Fair Play non deriva da un atto singolo ma da un comportamento di vita, non è mai un bene acquisito per sempre, non nasce da teorie filosofiche sviluppate in un ambiente chiuso, ma dall’incontro, dal dialogo e dalla competizione.
L’essenziale non è aver vinto, ma aver dato il meglio di se stessi nella competizione.
Chiunque si dedichi alla divulgazione di queste idee, apre la via ad una umanità più coraggiosa, più forte, cosciente e generosa.
Il Panathlon International si batte da anni per portare avanti questi concetti e ben vengano tavole rotonde, seminari, conviviali, che siano testimonianze efficaci per fare in modo che il buon esempio e che il Fair Play ritornino in famiglia, nella scuola e nei campi sportivi.
Ne abbiamo bisogno!
Quali sono i criteri che permettono di riconoscere il Fair Play?
Il Fair Play non si decreta, deve nascere da sé e il suo valore si rivela considerando il suo contrario: l’atto sleale.
Per esempio il doping, non certo l’unico flagello dello sport attuale, ma forse il più grave e diventato negli ultimi anni sinonimo di disumanità nello sport. Sappiamo che i divieti non bastano, occorrono la sensibilizzazione dell’opinione pubblica, la vigilanza crescente negli ambienti sportivi, la reazione degli sportivi stessi, il lavoro certosino della famiglia e della scuola, sono segnali incoraggianti.
L’agonismo sportivo deve essere educato, non esasperato.
L’esasperazione dell’agonismo conduce lo sport ad essere non più immagine della vita, ma della guerra e se non è ben controllato ed orientato, può diventare un attentato alla vita.
Il mondo dello sport ha bisogno di Educatori, Insegnanti, Allenatori veri.
Educare significa “tirare fuori il meglio da ognuno”
, quindi occorre fare in modo che tutti diano il massimo: se uno da il massimo è come se avesse vinto.
Come si deve fare per “tirare fuori il massimo da ognuno?
Occorre che la famiglia sia solida, che possegga valori e ideali importanti, che gli Insegnanti siano capaci e competenti e che la società sportiva sia sana.
La cultura sportiva, il buon esempio e il Fair Play non nascono da soli, devono essere educati e sviluppati da persone con buon senso, competenti ed equilibrate.
Lo sport gioca un ruolo importante e decisivo nell’educazione dei giovani, i suoi valori possono entrare, assieme al Fair Play nella cultura dei cittadini del domani, ma per poter fare tutto ciò occorrono genitori bravi e intelligenti, Insegnanti al passo con i tempi, Istruttori e allenatori più Educatori e meno tecnici (se poi sono anche dei bravi tecnici tanto meglio), Dirigenti all’altezza delle situazioni Operatori Sportivi, Dirigenti e giornalisti, consapevoli dell’importante ruolo che ricoprono.
Abbiamo bisogno di modelli di FAIR PLAY.
Scivolano gli anni, mutano le generazioni, nascono le guerre, gli atti di terrorismo, i media amplificano sovente immagini ed echi degli eventi negativi, si parla tanto di spettacolo sportivo, ma poco di Fair Play. Eppure ogni anno in tutti i paesi appaiono e si avvicendano i testimoni del Fair Play: Paolo Di Canio in Inghilterra ne è l’esempio più eclatante.
Ma Fair Play non è solo questo: comportarsi bene in campo, con cavalleria, rispettare gli avversari, gli arbitri, i compagni di squadra, il pubblico.
Un buon Educatore deve educare i propri atleti sia alla vittoria che alla sconfitta: questi sono buoni esempi di Fair Play.
Insegnare a perdere senza fare drammi, insegnare a vincere senza esaltarsi troppo.
Umano è vincere, umano è perdere, ma la sfida sta nel saper vivere con nobiltà e dignità d’intenzione e di comportamento, l’uno e l’altro momento della vita: entrambi sono degni di memoria solo se riferiti al cammino di crescita e di perfezione della persona.
Conclusioni
Spirito e pratica del Fair Play sono forse reminescenze di una mitica “età dell’oro” dello sport, vissuta, se mai è esistita da una classe di privilegiati anglosassoni?
O forse graffiti di una stagione travolta da un epocale mutamento dei valori nelle società cosiddette avanzate?
Oppure atteggiamenti e gesti di lealtà, di rispetto e di onore per l’avversario, di congeniale osservanza delle regole scritte e non scritte della competizione, di fedeltà alla verità del risultato anche contro la propria utilità?
Oppure dobbiamo pensare che il Fair Play è riservato a una sparuta specie di epigoni di un romanticismo sportivo attardato ai margini dei clamori e degli spettacoli imperanti?
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